mercoledì 23 dicembre 2015

Repubblica 23.12.15
Il male dei partiti e il populismo
di Piero Ignazi


I PAESAGGI politici europei sono sferzati da venti di cambiamento. Ultimo in ordine di tempo quello che ha ridisegnato il sistema partitico iberico, con due nuovi partiti nazionali (Podemos e Ciudadanos) e una miriade di micropartiti autonomisti. Quanto è accaduto domenica scorsa in Spagna non è che l’ultima conferma della crisi di rappresentanza e perdita di legittimità dei partiti, e del partito in quanto tale. I partiti non sanno più interpretare le domande dei cittadini. Sono diventati sordi e autoreferenziali, accusati di pensare solo a loro stessi, per accumulare potere e salvare le poltrone. Non per nulla la fiducia nei loro confronti è precipitata. C’è una sorta di ritiro della delega in giro per l’Europa. I destini collettivi non vengono più affidati a loro. Perché non ci si fida più, evidentemente.
La crisi viene da lontano. Sta scoppiando ora con sempre maggiore evidenza ma maturava da più di un ventennio. Già negli anni Novanta, in tutte le democrazie avanzate, serpeggiava nelle opinioni pubbliche la disaffezione nei confronti dei partiti. In Germania venne persino coniato un nuovo termine per indicare questo sentimento:
Parteiverdossenheit. Cosa stava succedendo? Venivano a maturazione le difficoltà di un modello organizzativo e di una modalità di rapporto con la società ancora tutti dentro la storia del Novecento. Il partito di massa, benché già criticato e sottoposto a revisione alla fine degli anni Sessanta, rimaneva l’impianto principe su cui si fondavano i partiti. L’unico attacco, teorico e politico, a quel modello venne dalle formazioni ecologiste alla fine degli anni Ottanta. Un successo di nicchia, in realtà, con l’unica, corposa, eccezione della Germania dove i Grünen riuscirono ad essere una presenza politica rilevante, e ad indicare un nuovo modo di far politica. I Grünen si connotarono come una struttura de-burocratizzata, de-professionalizzata, egualitaria nel genere, iperdemocratica nel processo decisionale. Tutti cambiamenti profondi nel modo di far politica. E tutti indirizzati a poter mantenersi in presa diretta con la base. Di quella ventata, però, non è rimasto molto sia perché la democrazia di base è diventata virtuale e internettiana, sia perché anche i partiti verdi hanno subìto, chi più chi meno, la legge ferrea dell’oligarchia, con la creazione di una élite di politici professionali. E sono entrati in un cono d’ombra.
I nuovi partiti che sono emersi negli ultimi anni, come il M5S e Podemos, seguono una traiettoria diversa. (Syriza è un’altra cosa in quanto non nasce dal nulla bensì ha dietro di sé strutture consolidate, seppur minoritarie, e classi politiche in buona parte rodate). La loro novità e freschezza è appealing per opinioni pubbliche scontente e frustrate. Il loro richiamo ad un politica alternativa rispetto a quella degli “altri”, ingolfata di compromessi, succube dei “poteri forti”, corrotta e corruttrice, convince scettici e delusi, una moltitudine di cittadini che ha perso fiducia nella politica dei partiti tradizionali e crede, vuole credere, che esista una alternativa pura e pulita. Anche dall’altra parte dello schieramento politico, i partiti popu-listi, che incarnano una estrema destra post-industriale, godono di credito. Sono loro, solo loro, gridano nelle piazze riprendendo l’antico slogan di Le Pen padre, a dire a voce alta quello che tutti pensano e mormorano sottovoce. Sono loro, solo loro, a prendersi cura della gente comune, dimenticata dalle élite ricche e potenti, mediatizzate e intellettualistiche. Sono loro, solo loro, a difendere la nazione minacciata dall’invasione degli stranieri e dalle autorità sovranazionali, Unione Europea in testa.
Da destra e da sinistra vengono offerte parole che leniscono quel senso di abbandono e di estraneità che, per motivi diversi — economici, culturali, politici — attanaglia parte dell’elettorato. Queste parole attraggono sempre di più, anche se il loro richiamo rimane confinato in dimensioni contenute. I partiti tradizionali faticano a prendere le misure di questa offensiva perché sono diventati strutture che sfruttano le risorse pubbliche per la loro sopravvivenza, perché hanno “allevato” classi dirigenti voraci e corrotte (soprattutto a livello locale), perché promuovono i fedeli più che i meritevoli, perché vivono in mondo chiuso, autoreferenziale. I partiti tradizionali sono sempre alla rincorsa delle nuove formazioni. A volte ne scimmiottano le modalità, altre volte inseguono le loro proposte, come è successo in Francia dopo i fatti del 13 novembre, senza capire che in questo modo spianano loro la strada. Per sconfiggere l’assalto dei populisti e degli estremisti non resta che uscire dai palazzi, piccoli e grandi, reali e virtuali, e ritornare a far politica tra la gente dimostrando che serietà, onestà e parsimonia sono ancora monete di buon conio per la politica contemporanea.