Repubblica 23.12.15
Il futuro dell’Europa
di Timothy Garton Ash
ESTRATTO dal volume della collana Oxford History of Modern Europe pubblicato nel 2045: «I primi mesi del 2005 si possono considerare l’apogeo del cosiddetto progetto europeo. Nella primavera precedente dieci Stati dell’Europa centrale e orientale aderirono all’Unione Europea, dando vita al più ampio commonwealth di democrazie liberali della storia d’Europa. L’Unione propose un trattato costituzionale, noto come Costituzione europea. La moneta unica, l’euro, pareva valida e Paesi come Spagna, Portogallo e Grecia ebbero l’impressione di entrare in sinergia con il nucleo storico dell’Europa unita, attorno a Germania, Francia, Belgio e Olanda. Molti europei erano pervasi da una sensazione di ottimismo, vedevano nell’Ue un faro di progresso, come sistema di ordine internazionale regolamentato e come modello sociale. Lo scoppio della “rivoluzione arancione” pro europea in Ucraina convinse il presidente russo Putin che l’Ue, all’apparenza inoffensiva, costituiva una minaccia al suo potere. Persino lo scettico Tony Judt, nella sua storia dell’Europa post-45 pubblicata nel 2005 scrisse che “il XXI secolo potrebbe appartenere ancora all’Europa”.
Il decennio successivo tuttavia dimostrò del tutto illusorie queste ipotesi grandiose. Le crisi che seguirono, a partire dalla bocciatura della costituzione europea nei referendum in Francia e Olanda, per passare alla crisi decennale di un’eurozona mal congegnata, l’annessione da parte russa di alcune aree dell’Ucraina, gli attacchi terroristici islamisti, il referendum britannico sull’uscita dall’Ue, milioni di profughi in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa, nonché la crescita dei partiti euroscettici e xenofobi portarono i leader europei a vacillare storditi, come il pugile ucraino Klitschko sotto i colpi del suo sfidante britannico Fury.
Purtroppo i leader europei riuniti a Bruxelles nel dicembre 2015 per uno dei soliti interminabili vertici non seppero rendersi conto di quanto fosse profonda la crisi esistenziale dell’Unione. L’Unione Europea non crollò all’improvviso, alla maniera dell’Impero romano, come ebbe a dire uno storico, con orde di barbari a occupare i palazzi della burocrazia di Bruxelles. Ebbe un declino più simile a quello del Sacro romano impero: i trattati, il cerimoniale e le istituzioni restarono formalmente in vita, ma sempre più svuotati del loro significato. Così la decisione di sciogliere formalmente l’Unione europea nel 2043 non fu altro che la tardiva presa di coscienza di una realtà politica preesistente».
Nessuno conosce il futuro. Nulla di quanto sopra descritto è inevitabile. Ma è uno scenario plausibile per il futuro dell’Ue. Dovremmo però fare il possibile per scongiurarlo. Churchill disse che la democrazia è la peggior forma di governo possibile, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate nel tempo. L’Europa in cui viviamo è l’Europa peggiore possibile, eccezion fatta per tutte le altre Europe sperimentate fin qui. Nessuna alleanza è durata per sempre, ma dovremmo augurarci che l’Europa duri il più a lungo possibile.
L’élite europea criticherà questo mio approccio come troppo pessimista, addirittura disfattista. Mi accuseranno di esprimere un “punto di vista britannico”, incarnando inconsapevolmente proprio quel genere di pregiudizio nazionale che sostengono di voler sconfiggere. In realtà questo mio realismo pessimista costituisce una base ben più solida su cui ricostruire il traballante progetto europeo di quanto non lo sia l’interpretazione Whig della storia come continuo progresso, una pia illusione che caratterizza larga parte dell’euro-dibattito. L’Europa è conciata male: il primo passo verso la guarigione sta nell’ammettere la gravità della malattia, non certo nel negarla. Siamo di fronte a tante problematiche: profughi, xenofobia, Eurozona, Ucraina, la Brexit — per molti dei quali non esistono soluzioni totali, ma solo parziali, che ci permettano di andare avanti. Non è il momento di grandi disegni. Molti colleghi europei stanno tornando all’idea di un’Europa a più velocità, con un nucleo centrale in testa e il resto che segue, pena l’emarginazione. Questa non è e non sarà la realtà.
Rifiutare la retorica dei grandi disegni progressisti non significa semplicemente ricadere nel pragmatismo disorganico, quello che Der Spiegel ha definito die Philosophie des Durchmuddelns (la filosofia del tirare a campare). Due fili cuciono insieme i diversi pezzi di stoffa di questo patchwork: un nuovo futuro e il possibile ritorno di un triste passato.
Di fronte a potenze emergenti come Cina, India, Brasile, non solo l’Europa ma l’Occidente non dettano più le regole. In questo mondo di giganti i Paesi europei hanno bisogno di una dimensione che solo la loro Unione può dare. È una tesi interessante, ma poco allettante, soprattutto agli occhi dei giovani spagnoli disoccupati o dei francesi che non riconoscono più il loro Paese. Il secondo filo è il passato europeo che potrebbe tornare nel nostro futuro. Abbiamo assistito a flashback della barbarie che ha caratterizzato il XX secolo in Europa. Guerra in Ucraina. Professionisti della classe media costretti a fare la coda alle mense dei poveri ad Atene. Terrore nelle strade di Parigi. Il cadavere del bimbo profugo restituito dal mare su una spiaggia del Mediterraneo. Antisemitismo, razzismo e espressioni di becero pregiudizio contro i musulmani. In qualche modo continuiamo a considerarle eccezioni, ma se diventassero la regola?
Il progetto della comunità politica europea è insolito in quanto il suo avversario, “l’altro” che ne definisce l’identità è il suo stesso passato. Per tre generazioni, le memorie individuali della guerra, dell’occupazione, dell’Olocausto, delle dittature fascista e comunista sono state la motivazione più forte e profonda a favore dell’integrazione europea. Dato che la maggioranza dei giovani europei non ha più queste memorie individuali, abbiamo più che mai bisogno della memoria collettiva che chiamiamo storia. Per evitare un brutto futuro dobbiamo far sì che le nuove generazioni non dimentichino il nostro triste passato che potrebbe oggi ritornare in forme nuove e vecchie. Come scrisse Bertolt Brecht: «L’utero da cui è sgusciato fuori è ancora fertile».
Ancora non è troppo tardi per riscrivere il volume del 2045 della Oxford History of Modern Europe, ma non abbiamo tempo fino al 2045 per farlo.
Traduzione di Emilia Benghi