Repubblica 17.12.15
Il doppio forno di Renzi: “Su alcuni temi si dialoga con l’M5S”
di Goffredo De Marchis
ROMA Matteo Renzi ha preso atto della vittoria dei falchi sulle colombe dentro Forza Italia e la mozione di sfiducia al governo ha certificato un dato di fatto. «Con Berlusconi non si possono fare più accordi. E’ incapace di tenere uniti i suoi. Se la loro linea è quella di scimmiottare Grillo e Salvini, allora tanto vale fare l’accordo con i Cinque Stelle», è stato il ragionamento del premier. Il minimo comun denominatore, quando gli azzurri lo trovano, ricalca semmai la linea Brunetta, cioè lo scontro frontale con il governo. Così è nato il cambio di rotta, che ironicamente il leader pd definisce il «Risveglio della forza ». Ne ha parlato con il capogruppo Ettore Rosato, regista delle operazioni in Parlamento. «All’ultima votazione il 20 per cento dei deputati di Forza Italia non si è nemmeno presentato in aula - ha spiegato Renzi ai suoi collaboratori -. Senza contare quanti di loro hanno sabotato l’intesa». Era impossibile non mutare strategia. Tanto più con la benedizione di Sergio Mattarella, sempre più preoccupato dallo stallo sull’elezione di ben tre giudici costituzionali.
A quel punto Renzi ha persino usato la mozione di sfiducia individuale presentata dai grillini contro Maria Elena Boschi e ha provato a girarla a suo favore. «Secondo me, questo è il momento giusto per fare un accordo con Grillo». Perchè i grillini avranno subto l’occasione di evitare la trappola dell’inciucio. «Loro hanno la mozione su Maria Elena. Possono fare casino lì. Ma adesso conta portare a casa i giudici».
Aproffitare dell’attimo, dunque, senza farsi illusioni su collaborazioni future. E’ vero che l’ala dialogante del Movimento 5stelle era la più soddisfatta dell’accordo e come notava un deputato del Movimento Luigi Di Maio in Transatlantico «camminava a un metro da terra». Ma il patto della Consulta non avrà un seguito. Anzi, la prossima settimana sarà di nuovo battaglia sul caso della Banca Etruria. Anche se a Palazzo Chigi contano di tornare a parlare con il Movimento: sulle unioni civili e sulla riforma delle banche, ad esempio.
L’altissima quota di 570 voti necessari a eleggere i futuri membri della Consulta aveva bisogno di un accordo blindato. L’ideale sarebbe stato un patto con tutti, Forza Italia compresa come è avvenuto per la precedente elezione del giudice Sciarra. Ma Berlusconi non ha più lo stesso controllo dei gruppi parlamentari. «Siamo tornati allo schema ini- ziale», spiega Ettore Rosato. Due settimane fa il Pd aveva proposto ai grillini il patto che va inscena adesso: Augusto Barbera, Franco Modugno e un centrista. Grillo e Casaleggio risposero di no affidando ai “portavoce” un coro di insulti per il professore Pd. In via riservata questo schema era stato presentato anche al Quirinale. E Mattarella aveva espresso il suo totale gradimento per una soluzione simile. Dunque si è tornati lì.
Certo, salta l’elezione di tre giudici favorevoli, in maniera palese e addirittura tifosa, all’Italicum, la legge elettorale che passerà al vaglio della Consulta. Sisto, il candidato di ForzaItalia tagliato fuori ieri, aveva votato la norma, era un sostenitore del patto del Nazareno, fatto salvo il ripensamento condiviso con i suoi colleghi dopo la rottira di Berlusconi. Insomma, l’idea di 3 voti sicuri per l’Italicum nel Palazzo della Consulta, è stata giocoforza accantonata. Ma rimane vivo il nome di Barbera, che dei tre è sempre stato il sostenitore maggiore della legge elettorale. E si sblocca una situazione che lo stesso Renzi ha definito «una figura di m...». Dice il leader della minoranza Roberto Speranza: «Avrei preferito tenere dentro tutti, Con la Sciarra ci siamo riusciti. Ma va bene anche così. E noi della sinistra non abbiamo mai fatto mancare i voti a a Barbera che non a caso è andato vicinissimo al quorum fermandosi a 546 voti». I dubbi dei dissidenti rimangono per la sovraesposizione del professore bolognese sulla legge elettorale che una parte del Pd non ha votato e che ha creato lo strappo di alcuni fuoriusciti. Ma anche nel cerchio stretto dei renziani non sono emersi dubbi sul comportamento in aula dei bersaniani. Alla fine Renzi non è stato obbligato a bruciare Barbera e il Pd ha ingoiato Modugno.
Alla conferenza dei capigruppo si è deciso intanto di votare al più presto la mozione di sfiducia contro la Boschi. Tre giorni dalla presentazione del testo 5stelle. Sabato sarebbe già il giorno giusto ma si andrà alla prossima settimana, comunque prima di Natale. Una soluzione che va bene a Renzi, il quale è convinto che un «atto politico» allenterà la tensione, al netto dell’inchiesta giudiziaria. E va bene ai presentatori grillini che avranno a brevissimo la possibilità di tornare all’attacco dell’esecutivo.
Si apre invece una stagione diversa nei rapporti con Forza Italia. Della quale si sente la eco nella campagna per le amministrative. Berlusconi si è deciso a giocarsela puntando forte su Marchini a Roma e su Del Debbio a Milano, candidati in grado di dare fastidio agli avversari del Pd. E’ la linea dura scelta del Cavaliere, un asse con Matteo Salvini e Giorgia Meloni che servirà ad arrivare compatti al voto comunale sperando nelle divisioni a sinistra. Com’è successo in Liguria dove adesso siede il governatore Giovanni Toti.