Repubblica 16.12.15
I demagoghi all’attacco di un governo indebolito
Lo scontro rischia di far prevalere i due populismi: quello della Lega di Salvini e quello del Movimento 5Stelle
di Stefano Folli
L’OSCURO pasticcio delle banche e in particolare l’inchiesta sull’istituto di Arezzo è una storia composta di tre capitoli. Il primo riguarda i sintomi di logoramento del governo, il secondo la debolezza di un’opposizione senza idee che tenta di vincere una mano con dei dadi trovati per caso. Il terzo infine comprende la questione ultima: a chi gioverà tutto questo, chi ne trarrà il maggior beneficio anche elettorale?
L’ultimo punto è anche il più ovvio. L’imbarbarimento del conflitto giova agli estremisti, a chi si trova a suo agio nella rissa. Quando Salvini arriva a insultare il presidente del Consiglio con un’asprezza che ha pochi precedenti («è un infame, ha sulla coscienza la morte del pensionato») vuol dire che una certa soglia è stata superata. È possibile che la violenza di questi attacchi, unita al disorientamento di un’opinione pubblica impaurita, produca qualche effetto elettorale, ma a quale prezzo? Salvini deve urlare più forte di tutti perché sul terreno della demagogia applicata al rapporto tra politica e banche subisce la concorrenza dei Cinque Stelle; anzi, è lui a inseguire, costretto a gridare quello che persino Grillo esita a inserire nel suo “blog”.
È la prova del cedimento strutturale del sistema a cui manca un muro per contenere i due populismi nella versione leghista e “grillina”. Il resto dell’opposizione, infatti, è nella sostanza succube di questa duplice deriva. La corsa alle mozioni di sfiducia nasce dal desiderio di cogliere l’attimo, il che è comprensibile. Ma rivela anche l’assenza di una linea coerente. Nessuno era preparato. Leghisti, forzisti, grillini e gli altri sono inciampati sullo scandalo bancario e l’ammucchiata che ne è derivata tutto è tranne che una prospettiva di governo alternativo a quello di Renzi. È solo un gioco parlamentare i cui fili sono tirati, appunto, da Salvini e Grillo. Quest’ultimo raccoglie il consenso anche di Fassina, uscito a sinistra dal Pd, e si concentra sulle dimissioni della Boschi.
Gli altri, Salvini in testa, puntano al bersaglio grosso: il presidente del Consiglio e l’intero governo. E a voler essere precisi, c’è una logica: il conflitto di interessi sulle banche, se esiste, coinvolge l’esecutivo e il premier, non può riguardare solo la Boschi. La quale peraltro non ha migliorato la sua posizione rilasciando dichiarazioni in cui riconduce tutto a una questione di numeri: se la mozione non passa - e non passerà - allora tutto è risolto e la vicenda dell’Etruria può essere rimossa. Non è così. C’è un aspetto del problema legato ai numeri, certo. E un altro che investe la sfera dell’opportunità. Le mozioni vengono votate e respinte in base a una reazione politica contro un assalto anch’esso tutto politico. Il problema di opportunità interpella invece la coscienza di ciascuno, anche quella della ministra Boschi. Potrebbe essere l’unico foro con cui confrontarsi, a meno che l’inchiesta giudiziaria non riservi qualche amara sorpresa.
QUELLO a cui assistiamo è soprattutto un gioco parlamentare. Renzi non cadrà sulle mozioni, questo lo sanno tutti. Ma la sua immagine viene incrinata e restaurarla non sarà facile. Vero è che il premier sembra essersi reso conto di quale terreno scivoloso egli stia calcando. È il primo punto indicato all’inizio: il segnale che forse il logoramento del governo è cominciato, dopo quasi due anni di sostanziale bonaccia. E non è un caso se solo ieri sera, a Porta a porta, il premier abbia trovato parole ferme per rispondere ai vari Salvini, ma soprattutto all’opinione pubblica scossa. «Chi ha truffato pagherà» è un impegno chiaro, quantomeno.
Sarebbe stato meglio ascoltarlo giorni fa, magari alla Leopolda, dove invece la patata bollente era stata affidata al ministro dell’Economia. L’impressione è che sulle banche il governo si sia mosso all’inizio in modo superficiale, forse senza rendersi conto della portata devastante dello scandalo. D’altra parte la vicenda è un intreccio di potere proprio nel cuore dell’Italia centrale “rossa”. Si veda la prudenza della minoranza Pd. Ma il logoramento è nell’aria. Non farsene travolgere, rintuzzandolo, è ormai una delle priorità del presidente del Consiglio.