martedì 15 dicembre 2015

Repubblica 15.12.15
Cosa dobbiamo imparare dagli anticorpi della Francia
Una lezione che smonta lo stereotipo secondo cui non esistono più la destra e la sinistra, tema da populisti
di Stefano Folli


Oggi a Parigi, domani a Roma? All’indomani della sconfitta del Fronte Nazionale, la Francia ha qualcosa da insegnare all’Italia, a patto di evitare banali errori di interpretazione. La domanda prioritaria è se noi possediamo gli anti-corpi politici indispensabili per isolare, prima, e poi battere con il voto l’equivalente del partito lepenista, ossia la migliore incarnazione in Europa del populismo di destra.
In effetti il Fronte Nazionale è un fenomeno tutto francese, nel suo impasto di nazionalismo, disprezzo verso le élites e nostalgia del passato (non il miglior passato). Con il suo 30 per cento confermato al secondo turno, e tuttavia inutile ai fini pratici, il Fronte si conferma un soggetto da prendere sul serio. Incapace nella sua solitudine di conquistare anche una sola regione, ma destinato a occupare la scena politica nel prossimo futuro. Per il momento le due Le Pen sono state battute da un modello elettorale che cala come una ghigliottina sulle forze estremiste. Niente a che vedere con il nostro Italicum che rischia invece, fra le altre cose, di favorire una convergenza al secondo turno di tutti gli avversari del governo, i populisti autoctoni e quelli che vogliono cavalcare l’onda e imitare il FN.
Gli elettori di Cinque Stelle, leghisti di Salvini e Fratelli d’Italia sono ben oltre il 40 per cento nei sondaggi, senza contare una parte almeno del mondo berlusconiano. Sull’altro versante, il Pd di Renzi gioca una partita solitaria, specie se la legge elettorale resterà senza correttivi: in suo soccorso potrebbero arrivare al ballottaggio un po’ dei voti di Alfano e dei centristi, nonchè un altro segmento dei berlusconiani. Con l’incognita di non poco conto delle varie liste di sinistra, sospese fra desiderio di rivalsa verso il premier e timore fondato di consegnare l’Italia ai “grillini” o a qualcun altro di quell’inedito agglomerato.
Ma c’è dell’altro. In Francia l’isolamento del Fronte è stato possibile grazie allo “spirito repubblicano” e nazionale che ha unito al secondo turno i socialisti e la destra moderata di Sarkozy. Come sempre accade nei momenti cruciali, il paese ritrova la sua storia e la sua identità: più 8,5 per cento gli elettori domenica scorsa. Il pericolo del voto al FN è stato individuato e neutralizzato come sempre nel dopoguerra, da Poujade in poi. Il che presuppone la capacità di capire cosa sia la destra lepenista e come si distingua dal resto dello spettro parlamentare. Ed è qui che un elettore socialista riesce a turarsi il naso e a votare un “sarkozista” pur di tagliare le gambe alle Le Pen.
Da noi, viceversa, si cede allo stereotipo secondo cui “non esistono più la destra e la sinistra”. Un’immagine renziana ripresa alla Leopolda, fra gli altri, da una persona seria come il sindaco di Firenze, Nardella. Purtroppo è un argomento smentito dai fatti, come dimostra la Francia. Quel che è peggio, è l’argomento preferito dai populisti: sono loro e quasi soltanto loro a trarre vantaggio dalla fittizia abolizione delle due categorie, con conseguente rimescolamento delle carte. Ne deriva che la rinuncia a un profilo preciso in favore del generico “rinnovamento”, unita alla tendenza a impadronirsi di alcuni messaggi tipicamente anti- sistema (no alla casta, alla vecchia politica, alla tecnocrazia, alla sinistra e alla destra insieme), rischia di accreditare una versione morbida del populismo che appanna i termini del problema e incoraggia senza volerlo i populisti veri.
Al contrario, la Francia dimostra che il sistema si salva se esistono due poli magari in crisi momentanea, ma ben strutturati: un centrosinistra e un centrodestra, potremmo dire applicando schemi italiani. Da noi è accaduto invece che la destra moderata abbia dichiarato “forfait” e si sia accodata in buona misura alle forze populiste: vedi Berlusconi rispetto a Salvini. L’opposto del caso francese. Il risultato è uno scompenso pericoloso in cui tutto può accadere. Specie se il governo Renzi non resiste alla tentazione di trasformare gli oltre due anni che mancano alla fine della legislatura in una campagna elettorale permanente.