martedì 15 dicembre 2015

La Stampa 15.12.15
“Il riposo non è un obbligo. Il paziente viene prima di tutto”
Salizzoni (Molinette): “Sono pronto a trasgredire”
intervista di Alessandro Mondo


«Il riposo deve essere un diritto ma non può diventare un obbligo: direttiva comunitaria o meno, per me la priorità è soltanto la salute del paziente». Il professor Mauro Salizzoni, direttore del Centro trapianti di fegato dell’ospedale Molinette-Città della Salute di Torino (pochi mesi fa ha festeggiato i 25 anni di attività), non ci pensa due volte a dire come la pensa.
Insomma: normativa o meno lei intende andare avanti come prima?
«Io so soltanto che il fegato è un organo salva-vita, la disponibilità di un donatore è un’occasione troppo importante per essere sprecata: ci sono casi in cui non si può guardare l’orologio».
Un esempio?
«La scorsa settimana diversi dei miei collaboratori erano impegnati e ho dovuto fare due trapianti in un giorno: il primo dalle cinque alle otto del mattino, il secondo la sera. Non è stata la prima volta, se a mezzanotte ci fosse stato da ricominciare l’avrei fatto senza problemi».
Non pensa che per un chirurgo la stanchezza possa diventare un fattore di rischio per il paziente?
«La stanchezza? Quella, semmai, si sente alla fine dell’intervento. Mi creda: durante un trapianto la tensione è tale che ti senti sveglio anche se non dormi da tre giorni. Negli Anni 80, quando a Bruxelles collaboravo ai primi trapianti, tra gli espianti e tutto il resto si stava fuori anche per 32-36 ore: le assicuro che nessuno si poneva il problema».
Non esiste il rischio, sulla base di una lunga esperienza, di procedere in modo automatico, magari sottovalutando la prontezza di riflessi?
«Ma no. Un conto è la chirurgia ordinaria, gli interventi di routine, ripetitivi, altra cosa i trapianti complessi. Mi creda: bisogna vivere quei momenti in prima persona per rendersi conto della situazione, di cosa si vive».
Cosa si vive?
«Una tensione e un’attenzione allo spasimo: sai che l’organo di quel donatore è un’occasione unica per il paziente che si è affidato a te».
E lo stress?
«Quello lo avverti soltanto alla fine, come un pilota di Formula uno al termine della corsa. Ha mai visto un pilota fermarsi a metà del circuito? O un alpinista lasciare corde e piccozza a metà di un’arrampicata, quando si trova ancora in parete? Andiamo».
Intende dire che bisogna cogliere l’attimo?
«Certo che bisogna coglierlo. Tanto più che sui trapianti complessi i chirurghi non si trovano dietro l’angolo: serve esperienza, una preparazione di anni e anni... Non puoi staccare, andartene a dormire e delegare l’intervento al primo che trovi».
Resta il fatto che le nuove regole, piaccia o meno, sono vincolanti.
«No, guardi: come premettevo, per me il paziente viene prima di ogni altra cosa».
E se in ospedale la mettessero in condizione di rimandare un trapianto per osservare il turno di riposo?
«In quel caso andrò avanti lo stesso e sarà quello che sarà: piuttosto pago la multa, qualunque sia la cifra, ma non intendo tradire chi ha riposto la sua fiducia in me e nella mia squadra».