Repubblica 14.12.15
“L’Is come il fascismo” un errore da evitare
di Niall Ferguson
ABBIAMO di fronte dei fascisti», ha detto qualche giorno fa il laburista Hilary Benn alla Camera dei Comuni riferendosi allo Stato Islamico. È stato un intervento stimolante, un gradito richiamo all’opposizione che molta parte della sinistra britannica manifestò contro la politica dell’appeasement (le concessioni a Hitler, ndt) negli anni Trenta. Ma sotto il profilo storico il discorso della Benn non regge. Paragonare l’Is a Franco, Mussolini e Hitler ha contribuito a garantire al governo una robusta maggioranza sulla risoluzione di bombardare obiettivi dei jihadisti in Siria. Ma fin da quando Christopher Hitchens ha lanciato il termine “islamofascismo”,dopo gli attacchi dell’undici settembre, io sono contrario a questa analogia.
Più ci sforziamo di far rientrare le problematiche odierne nel contesto della metà del ventesimo secolo, più non ci accorgeremo che mentre il fascismo ebbe sempre struttura gerarchica, l’islamismo ha la struttura di una rete. Mentre il fascismo fece sempre presa a livello nazionale, l’islamismo fa presa a livello internazionale.
All’estremo opposto è in voga la tesi secondo cui alla radice di tutti i nostri guai ci sarebbe il “cambiamento climatico”. È una tesi che, al pari di quella recentemente avallata dal Principe di Galles, secondo cui le origini della guerra civile siriana sono da ricondurre al riscaldamento globale, alla siccità e all’esodo di contadini impoveriti dalle campagne nelle città, invita a trarre conclusioni errate. Ma c’è davvero qualcuno convinto che ridurre le emissioni di Co2 sia la soluzione per impedire agli stati del Medio oriente di disintegrarsi?
Tentiamo un approccio diverso, che sappia cogliere meglio contro cosa combattiamo. Al termine di Delitto e Castigo di Dostoevskij l’assassino nichilista Raskolnikov, profondamente scosso, fa un sogno spaventoso: «Tutto il mondo era condannato a esser vittima di una tremenda, inaudita pestilenza, mai vista prima. Interi villaggi, intere città e nazioni venivano infettati e cadevano in preda alla pazzia. Tutti vivevano nell’ansia e non si capivano a vicenda, gli uomini si uccidevano tra loro, presi da una rabbia assurda e forsennata. Si preparavano a combattersi con interi eserciti, ma gli eserciti, già in marcia, a un tratto cominciavano a dilaniarsi da soli, le file si scompaginavano, i guerrieri si slanciavano l’uno contro l’altro, si infilzavano e si sgozzavano, si mordevano e si divoravano tra loro. Nelle città le campane suonavano a stormo tutto il giorno. Tutti e tutto andavano in malora. La pestilenza aumentava e avanzava sempre più».
Questa è la Siria di oggi — e non solo la Siria; anche l’Iraq, la Libia, lo Yemen e la Nigeria. A volte temo che sarà l’Europa di domani e l’America di dopodomani. Dostoevskij, da conservatore russo, pensava che il liberalismo occidentale fosse la piaga intellettuale che avrebbe fatto impazzire la società. Oggi però il problema è un doppio contagio: l’estremismo islamico che trasforma tante città del mondo in luoghi di mattanza, e il pseudoliberalismo, che semplicemente si rifiuta di riconoscere questa minaccia.
Non illudiamoci che l’aggiunta dei bombardieri britannici ai cieli già affollati sopra la Siria sconfigga l’Is, né tantomeno porti la pace. E, in ogni caso, l’unico modo di sconfiggere l’Is sarebbe schierare le forze speciali americane su larga scala, un’opzione che il presidente Obama si rifiuta persino di prendere in considerazione, anche perché non ha idea di cosa fare dopo.
La guerra civile siriana è un conflitto sconcertante tra cinque fazioni, in cui sono intervenute almeno 15 potenze straniere in tempi diversi da quando ha avuto inizio, quattro anni fa. Siete disorientati? Ora mettetevi nei panni di un pilota dell’aeronautica militare britannica che sorvola quell’area. A pensarci bene sarebbe più semplice dare la colpa al cambiamento climatico e sganciare acqua. A confronto gli anni Trenta furono una passeggiata. Una volta rinunciato all’appeasement, era chiaro chi era il nemico e dove stava.
Fu altrettanto semplice gestire il problema dei nemici interni. In Gran Bretagna allo scoppio della guerra decine di migliaia di tedeschi e di italiani furono internati in campi improvvisati. In America furono internati più di 100mila oriundi giapponesi, in maggioranza cittadini americani. Oggi provvedimenti inumani del genere sono inimmaginabili. Ma apparentemente si è passati all’estremo opposto.
Quanto è accaduto a San Bernardino, in California, potrebbe configurarsi come l’ennesimo episodio di “violenza sul posto di lavoro” — semplicemente un nuovo esempio di “mass shooting”, le sparatorie di massa per cui l’America è tristemente nota; l’ennesima dimostrazione della necessità di limitare l’acquisto di armi. Tuttavia, sembra più che una coincidenza il fatto che la coppia avesse trascorso un periodo in Arabia Saudita, fosse in contatto con almeno un individuo “oggetto di indagine” da parte dell’Fbi, avesse espresso sostegno all’Is e in casa avessero bombe. Non so perché, ma non li vedo proprio come iscritti alla National Rifle Association.
Dalla Siria a San Bernardino, la piaga di Dostoevskij infuria. Ma Hilary Benn pensa che stiamo combattendo i fascisti e Barack Obama che i cattivi siano i repubblicani patiti di armi, per non parlare negazionisti del cambiamento climatico. Mi auguro che qualcuno parli dell’assurdità di tutto questo.
Traduzione di Emilia Benghi