La Stampa 14.12.15
I partiti storici alla ricerca di una visione
di Cesare Martinetti
Marine Le Pen non vince nessuna regione, sette giorni di politica hanno rovesciato il risultato delle regionali francesi, l’onda bluemarine si infrange contro le barriere di un sistema elettorale spietato. Ma – va detto, perché il risultato è netto – l’avanzata del Front è stata bloccata innanzitutto dal voto dei francesi. Molti astensionisti del primo turno ieri sono andati ai seggi. Lo spirito «repubblicano» che ha spinto i socialisti a ritirarsi dal Nord (Lille e Piccardia) e dal Sud (Marsiglia e Costa Azzurra) per favorire i candidati sarkozisti contro le due Le Pen (Marine e Marion, zia e nipote) arrivate in testa al primo turno ha fatto «barrage» all’estrema destra.
Come leggere due risultati così diversi? Bisogna entrare nella logica delle elezioni a due turni. Nel primo si vota con il cuore, nel secondo (anche) con il cervello. Nel primo – come ha detto Guillaume Perrault del Figaro – il Front National ha mostrato la sua forza, nel secondo il suo isolamento. Marine Le Pen è in grado di spaventare il sistema, non di abbatterlo. Ma la vera domanda è: per quanto ancora?
Ad ogni elezione il suo partito cresce al punto che ormai si può parlare di un bipartitismo imperfetto alla francese: da una parte l’alleanza (conflittuale e spesso innaturale) tra i due partiti storici e tradizionali, destra e sinistra, ex gollisti e socialisti; dall’altra il Front. Da una parte quelli che Marine Le Pen chiama i succubi della «globalizzazione», dall’altra i «patrioti».
Esaurite le regionali, già si è proiettati sulla presidenziale 2017, la madre di tutte le elezioni. Ieri è andata in onda la replica di un vecchio film, un déja vu di politica politicante che non entusiasma più nessuno. E tutti si rendono conto che è forse l’ultimo avvertimento al sistema. Il più chiaro è stato Alain Juppé, ora sindaco di Bordeaux, ma ex primo ministro e ministro, l’uomo che Chirac diceva «il migliore di tutti noi». Juppé è lanciato nella corsa a conquistare la candidatura per la destra nella prossima presidenziale, il suo avversario numero uno è Nicolas Sarkozy, che esce piuttosto malconcio da questo giro. Ieri sera Juppé ha fatto il suo primo vero discorso da candidato presidente sfidando insieme Sarko-Hollande-Le Pen: i francesi – ha detto - hanno bisogno di una «visione», non antieuropea, non quella di un paese ripiegato su se stesso, non in controsenso rispetto al mondo di domani.
Questo è il vero nodo. Le Pen e i suoi alleati in Europa che chiamiamo «populisti» hanno «visione» e risposte per quanto semplificate e irrealistiche a problemi complessi. I partiti storici tradizionali non sanno invece più offrire «visioni». Innanzitutto quella europea che si è persa in una nebbia tecnocratica e burocratica che non fa più sognare, che anche nella perdita dei confini moltiplica insicurezze, che nelle politiche economiche non riesce a invertire la curva della disoccupazione né a far ripartire in modo significativo la crescita. In questo stallo cresce il bisogno di protezione, il senso di angoscia che permette di riconoscersi in parole d’ordine elementari, dove risorgono vecchi fantasmi.
È questa la sfida che le elezioni regionali francesi hanno drammatizzato, per la Francia e per tutti gli altri, a cominciare dalla Spagna dove si voterà tra pochi giorni. A Parigi nessuno ha stappato bottiglie di champagne ieri sera per lo scampato pericolo. Paradossalmente la più allegra sembrava Madame Le Pen e ne ha ben ragione. È ormai da qualche anno che destra e sinistra sono ossessionati dallo spettro del Front, come se fosse un destino ineluttabile che si concretizza ad ogni elezione. Tra un anno e mezzo, nella primavera 2017, la sfida decisiva. Marine Le Pen sarà quasi sicuramente al ballottaggio. Ma chi sarà il suo avversario?