mercoledì 9 dicembre 2015

La Stampa 9.12.15
L’Islam è violenza se pretende di annullare la storia
Per il poeta siriano Adonis il Corano è sopraffazione Ma nei secoli sono molti anche gli esempi contrari
di Claudio Gallo


Nel Corano Noè chiede al Signore di punire gli scettici: «Non lasciare sulla terra, dei Negatori vivo nessuno». In una sura precedente, dedicata ai miscredenti della Mecca, si dice «Il giorno in cui li stringeremo di stretta tremenda e suprema, allora Ci vendicheremo». Nella biografia di Maometto curata da Ibn Hisham, uno dei compagni del Profeta si vanta: «Tagliai la testa di Abu Jahl e la consegnai al Profeta dicendo: “Oh Messaggero di Dio, ecco la testa del nemico di Dio”». Si potrebbe continuare a lungo: la violenza contro i nemici del Signore attraversa il libro sacro dell’Islam come una lama affilata, così come accade nel Tanàkh (la Bibbia ebraica), che i primi musulmani presero a modello, e nella Bibbia cristiana.
Dalla fondazione
A ricordarci la spietata sete di vendetta e l’odio per l’altro che percorre l’ultima religione monoteista, è il poeta siriano Adonis (Ali Ahmad Said) nel suo dialogo con la psicanalista francese Houria Abdelouahed dal titolo Violenza e Islam (Guanda, pp 187, euro 14). Minacciato di morte e bandito dagli integralisti islamici, dai ribelli siriani e da Damasco, Adonis, 85 anni e origini sciite, è rimasto legato al vecchio socialismo arabo. Per il poeta, l’Islam è intrinsecamente violento: «Tutta la storia ce lo testimonia. L’Islam si impose con la forza, dando luogo così a una storia di conquiste (…); la violenza nasce già con la sua fondazione».
Nel Libro, la proporzione tra misericordia e castigo è decisamente a favore di quest’ultimo. Adonis conta 80 versetti sull’inferno (geenna), mentre 66 evocano il paradiso e 72 lo descrivono come un luogo di godimento infinito. I versetti che parlano di miscredenza e dei suoi derivati sono 518, supplizi e simili compaiono 370 volte. Su 3000 versetti, 518 sono sul castigo. Ammiratore di Freud e della rivoluzione francese, Adonis fa un passo ulteriore: la violenza dell’Islam è inscritta nella sua natura monoteistica e infatti la ritroviamo nelle altre religioni del Dio unico. Il monoteismo sarebbe il risultato di due fattori: «In primo luogo lo sviluppo del senso dell’economia. In secondo luogo, lo sviluppo del senso di potere. Questi due elementi sconvolsero il mondo antico, ricco di grandi civiltà politeiste, e uccisero l’idea stessa di pluralità». Già Hume, Comte e William James la pensavano più o meno così.
La stessa preoccupazione per la violenza originaria del monoteismo fa da sfondo a Il lato oscuro della fede (pp. 52, euro 8), il dialogo (di una decina di anni fa) tra Hans Küng e Paul Ricoeur, appena uscito da Medusa. Spiega il filosofo francese: «Sarebbe troppo facile dire: non è la religione, ci si serve della religione per..., ecc. È proprio per l’attaccamento delle religioni alla loro missione profonda, quella di dire una Parola che le trascende (...), che può esserci una pretesa a dominare gli altri, a imporre con la forza».
Una sola versione
Molti, come Adonis, credono che alla fine esista un solo tipo di Islam, da cui deriva anche il credo disumano dei terroristi suicidi. Nella storia, tuttavia, l’Islam ha conosciuto incarnazioni molto diverse, senza contare che nel revanscismo radicale musulmano non c’è solo la religione ma anche la politica: la reazione a un’aggressione occidentale che va dal colonialismo alle guerre recenti.
Lo storico Zachary Karabell, che nel suo Peace Be Upon You (Alfred A. Knopf, 2007) ha raccontato la secolare convivenza delle tre religioni dell’unico Dio: «Non si può negare che oggi alcune parti del mondo musulmano siano segnate da alti livelli di violenza, ma è altrettanto vero che ci sono stati analoghi episodi di violenza in Colombia e in molte zone dell’Africa sub-Sahariana. L’Occidente ha dimenticato l’eredità di 14 secoli che, certo, hanno visto conflitti, ma anche alti livelli di tolleranza e di quieto vivere». Nel suo straziante libro di qualche anno fa sulla scomparsa del Cristianesimo dai paesi dove si si diffuse all’inizio, Dalla montagna sacra (Rizzoli, 1996), William Dalrymple racconta come in certi santuari cristiani e musulmani pregassero insieme. L’esodo dei cristiani mediorientali, che nei loro Paesi hanno sempre avuto un ruolo cruciale di mediazione, è uno dei fattori che oggi favorisce l’estremismo nelle società musulmane.
Il credo più moderno
Il grande tibetologo britannico David Snellgrove in Religion as History, Religion as Myth (Orchid Press, 2006) è convinto che, tra i monoteismi, l’Islam sia il più moderno e il meno lontano dalla visione scientifica del mondo. Dicendo così, non pensa certo agli stati del Golfo ma al cosiddetto Islam liberale, a Paesi come la Malaysia, l’Indonesia, specialmente Java.
In realtà, la faglia che spacca il mondo islamico divide due mondi incomunicabili: chi segue il senso letterale e chi interpreta. La versione iper-rigorista dell’Islam diffusa dal salafismo (di cui fa parte il wahhabismo, ufficialmente professato in Arabia Saudita) è anche la religione dell’Isis, di Al Qaeda e degli altri gruppi estremisti. Per loro c’è solo il senso letterale. La rivelazione coranica ha esaurito l’intera verità e, in qualche modo, ha annullato il tempo. L’unica azione possibile del credente è la sottomissione al volere di Dio, una volontà chiaramente indicata nel Corano e negli Hadit, i detti del Profeta. Bene e male sono bianco e nero, le immagini scritturali più sanguinose, destinate a beduini del VI secolo, sono vere alla lettera.
Leggere o interpretare?
Anche se il salafismo rappresenta una piccola minoranza tra i musulmani nel mondo, da almeno quarant’anni la sua variante wahhabita si sta espandendo ovunque, sospinta dai dollari del petrolio saudita. Lo ha denunciato, tra gli altri, il regista britannico Adam Curtis che ha girato per la Bbc un memorabile documentario, Bitter Lake (2015). Il radicalismo aggressivo sta intaccando l’Islam moderato e l’Islam mistico dei sufi, fino all’Estremo Oriente, dove il contatto con hinduismo e buddhismo ha talvolta dato vita a sintesi sorprendenti.
L’esempio più estremo è forse l’imperatore Moghul Akbar il Grande che nel XVI secolo fece costruire in India un padiglione per discutere con i saggi di tutte le religioni, atei compresi. I dibattiti furono interrotti dopo qualche anno, un po’ per il sabotaggio dei teologi musulmani, ma soprattutto perché le conversazioni finivano sempre in rissa. In troppi possedevano la verità.