lunedì 7 dicembre 2015

La Stampa 7.12.15
“Un bambino non è una cosa che si può mettere sul mercato”
La filosofa Izzo: “Su questo terreno stiamo con i cattolici”
intervista di Ilario Lombardo


«Certo che sono una femminista. Me le sono fatte tutte le battaglie, a partire da quella sull’aborto». Francesca Izzo, filosofa, docente universitaria, è tra le ideatrici dell’appello contro la gestazione per altri, o più brutalmente “l’utero in affitto”, che in Italia ha agganciato la campagna internazionale sullo stesso tema.
Ma lei non era tra quelle donne che urlavano «L’utero è mio e lo gestisco io»?
«Non penso sia un caso che molte delle femministe che hanno partecipato alle grandi battaglie degli anni Settanta si ritrovino oggi a sostenere queste posizioni sulla gpa. E non solo in Italia. Penso a Sylviane Agacinski, in Francia, che ha definito le madri surrogate “schiave moderne”».
Ma non c’è in gioco una idea di libertà che è stata la forza del femminismo?
«Sicuramente. All’apparenza, la nostra posizione sulla surrogacy sembra rovesciare le idee di un tempo, ma non è così».
Spieghi meglio.
«Al tempo c’era una distinzione molto importante, per esempio sull’aborto. Tra chi aveva una posizione femminista e sosteneva il principio dell’autodeterminazione, e chi parlava di “diritto” all’aborto. Lo slogan, “l’utero è mio e lo gestisco io”, aveva un significato polemico contro l’appropriazione del corpo della donna da parte dell’autorità patriarcale religiosa e statuale. Era una rivendicazione di autonomia e non di proprietà. Una differenza importante alla luce della gpa».
No alla libertà come proprietà?
«Esattamente. C’è una critica a un certo individualismo. Se si è proprietari, il proprio corpo è alienabile e diventa una merce. La maternità è una delle potenze del corpo-mente femminile e non si può ridurre a qualcosa a disposizione che si può mettere sul mercato. E poi coinvolge un terzo essere umano, un bambino».
Questa è la stessa posizione di molti cattolici.
«Partendo da culture e storie molto diverse arriviamo allo stesso punto. Poi ci dividiamo su altro».
E’ favorevole alle adozioni gay?
«Assolutamente sì. Una cosa è la nascita, un’altra è l’allevamento. Io sono stata cresciuta da una zia, per esempio».
Però i primi a esultare per il vostro appello sono coloro che si battono contro la stepchild adoption e le unioni civili.
«Sono strumentalizzazioni. Io penso che il nostro appello possa aiutare a combattere l’omofobia e portare finalmente ad avere le unioni civili».
Ma non sarebbe meglio regolamentare la gpa? Evitare, che lo facciano donne in difficoltà economica e magari togliere la gestazione dal mercato affidandola allo Stato?
«Sarebbe peggio. Guardi, non è solo un discorso economico. Il punto è che la maternità e la paternità non sono un diritto. L’umanità è divisa in due e in questo aspetto è intrinseco il concetto di limite. Non sto parlando degli orientamenti sessuali, ovviamente. Ma la procreazione si fa in due. Ognuno può fare quello che vuole in privato ma non possiamo formalizzarlo in un diritto. Perché nella logica dei diritti allora si potrebbe arrivare a concepirne una dotazione illimitata che prescinde dai limiti e che ogni individuo può affermare anche nel suo isolamento».