mercoledì 2 dicembre 2015

La Stampa 2.12.15
Bersani e la Leopolda: andrei se Matteo ci mettesse il simbolo Pd
“Ma per lui forse il partito è solo un ingombro”
di Carlo Bertini


«Io non voglio fare il capocorrente, noi il 12 ci riuniamo ma sotto le insegne del Pd. Dove c’è il simbolo del Pd io vado e se ci fosse alla Leopolda ci andrei», dice Pierluigi Bersani appoggiato ad una colonna di fronte l’aula della Camera. Ma non è una mano tesa, è un modo per dire che non andrà: perché l’ex segretario, in vena di critiche al premier, sa che anche quest’anno come sempre la Leopolda non sarà organizzata sotto le insegne Pd.
Il premier però tiene molto alla riuscita dei banchetti del prossimo week-end, quelli sì del Pd, oltre 1200 punti di incontro, dove sono chiamati a dare una mano tutti, minoranza compresa. Quindi non solo Renzi, la Boschi e il giglio magico, ma anche i dissidenti della minoranza presenzieranno qui e là. «Noi dovevamo tenere il nostro evento sabato prossimo, ma poi hanno detto che c’erano i banchetti del Pd nelle piazze e la facciamo il 12, ma non chiamatela contro-Leopolda, l’importante è che non sia vietato riunirsi per esprimere un punto di vista».
Pure Bersani dunque sabato andrà «da qualche parte»: per far vedere che dà una mano, anche se non è per nulla convinto di tante cose, a cominciare da come viene gestito il partito. Anche lei mette in discussione il doppio ruolo premier-segretario? «Io non chiedo nulla, lui faccia come vuole: lo statuto lo consente ma non lo obbliga. Io avevo detto subito che se avessi fatto il premier non avrei tenuto i due incarichi, perché il Pd è una creatura giovane e la ruota deve girare». Perché non ha cambiato questa regola quando era al comando? «Ma perché per farlo ci vuole una maggioranza qualificata in assemblea nazionale e io non ce l’avevo».
E quando gli si chiede se per rinforzare il Pd Renzi dovrebbe nominare una segreteria più politica, si scalda: «Le formule e gli organismi non sono il problema, le soluzioni se si vuole si trovano. Il problema di fondo è capire se il partito viene considerato un collettivo o un ingombro, perché magari si preferisce tenere un rapporto diretto con i cittadini senza mediazioni. Se è così auguri». Le primarie il 20 marzo? «Certo c’è tempo, il problema è se ci sono idee chiare su cosa fare». Bersani prova a dare la sua ricetta. «Dobbiamo tenere dentro quello che c’è di buono fuori dal Pd, essere un fondamento di alleanze di centrosinistra. Un campo aperto. Dove ci sono sindaci uscenti in un minuto si può risolvere la questione. Ma dove fai le primarie ti devi tenere largo, con un candidato Pd, uno della sinistra radicale e un civico. Così poi vinci sicuro, con meno di questo non so». Dunque senza coalizioni di centrosinistra si rischia.
Ma se gli si fa notare che l’invito a stare in coalizione allora andrebbe rivolto pure ai compagni usciti dal Pd, che sostengono altri candidati o si presentano da soli come Fassina a Roma, l’ex leader ammette che «sì è un discorso che vale per tutti, ma sono processi che vanno avviati per tempo». A preoccupare Bersani più dei grillini, certo avvantaggiati a Roma, è il centrodestra: «Perché possono perdere la lotteria, ma il senso comune ora va lì, i temi di fondo, sicurezza e immigrazione, sono di destra. E se loro trovano una sintesi è un problema».