giovedì 24 dicembre 2015

La Stampa 24.12.15
Blindati, cannoni ed elicotteri anti-kamikaze
Così sarà il fortino italiano alla diga di Mosul
di Francesco Grignetti


È terminato il primo sopralluogo dei nostri militari alla diga di Mosul, in Iraq, dove una ditta italiana è in procinto di vincere un appalto miliardario per la manutenzione dell’impianto e dove saranno le forze armate a garantire la sicurezza di chi vi lavorerà. Altri sopralluoghi seguiranno. E colloqui politico-diplomatici con le autorità centrali irachene per definire il quadro legale entro cui far muovere i nostri soldati. Una cosa però è emersa subito: non sarà un’operazione facile.
Molto probabilmente saranno mobilitati anche più dei 450 soldati annunciati nei giorni scorsi. Per difendere adeguatamente il sito, e approvvigionarlo di tutto, oltre agli operativi sarà necessario infatti anche un adeguato apparato logistico. E di conseguenza cresceranno i numeri dei militari coinvolti.
La missione alla diga di Mosul - che proprio ieri è stata evocata nel corso di una telefonata tra la ministra Roberta Pinotti e il collega statunitense Ash Carter, che ha ringraziato l’Italia per «la recente decisione di dislocare truppe addizionali in Iraq» - comincia intanto a prendere forma.
Gli Stati maggiori sono al lavoro per definire i rischi della missione e le contromisure. Appare chiaro che il cantiere diventerà una sorta di Fort Apache super-blindato considerando che la linea del fronte tra Califfato e forze lealiste corre a poche decine di chilometri dalla diga. Sono già stati ripartiti i compiti: ai peshmerga curdi, che saranno rinforzati con armi pesanti e truppe speciali Usa, l’onere di tenere lontani i jihadisti e di garantire la sicurezza sul territorio; agli italiani, la difesa interna del cantiere e la tranquillità dei tecnici provenienti dall’Italia.
In verità i jihadisti, che sono dentro la città di Mosul, e che avevano occupato la diga stessa nell’agosto del 2014, provano spesso a rompere il fronte o anche ad aggirarlo. La diga, che garantisce acqua ed elettricità a una larga parte dell’Iraq, resta un obiettivo ambitissimo. Per evitare guai, quindi, il contingente italiano, che sarà imperniato sui paracadutisti della brigata Folgore, sarà rinforzato da artiglieria pesante, dai blindati Centauro, fors’anche da qualche carro armato Ariete e quasi sicuramente da elicotteri d’attacco Mangusta. Il pericolo maggiore di questa missione, infatti, sono i cosiddetti blindati-bomba: una micidiale tecnica di guerra messa a punto dai jihadisti che inzeppano di esplosivi e munizioni un’autoblindo rubata all’esercito e con un martire alla guida la usano come torpedine contro le difese del nemico. Quelli del Califfato, quando attaccano caserme, compound o check point delle forze regolari, lanciano addirittura ondate di blindati-bomba.
Obici da 155 millimetri
Sarà imperativo impedire a mezzi del genere di avvicinarsi al cantiere. La base dovrà essere inavvicinabile e inespugnabile. Difese passive, garitte, cemento armato, campi minati: sarà fatto di tutto per prevenire l’arrivo e fermare la corsa a eventuali mezzi sospetti che dovessero avvicinarsi con intenzioni ostili. I droni, allora, oltre al collegamento organico con i peshmerga, saranno utilissimi per monitorare il territorio circostante il cantiere. E gli elicotteri d’attacco avranno missili in grado di arrestare la corsa a qualsiasi automezzo, e da una distanza di sicurezza.
Secondo quanto scrive il portale specializzato Rivista Italiana Difesa, «avere la potenza di fuoco delle Centauro o degli Ariete, o disporre di “nidi” con sistemi controcarro ai gate di accesso, contribuirebbe notevolmente a neutralizzare una minaccia altrimenti devastante. Probabilmente si dovranno dispiegare anche elicotteri d’attacco Mangusta dotati di razzi e missili controcarro Spike, che potrebbero tornare utili contro colonne di pick-up, e vedremo se si deciderà di portare anche obici da 155 mm al cui impiego il reggimento di artiglieria della Folgore è addestrato».