La Stampa 20.12.15
È Saragozza il termometro
Chi vince qui, conquista Madrid
Prove di “coalizione”, qui l’intesa socialisti-Podemos ha scalzato i popolari
di Marco Bresolin
Il polso della Spagna confina a Nord con i Pirenei, è attraversato come una vena dal fiume Ebro ed esporta grandi quantità di «Jamón de Teruel», il primo prosciutto spagnolo che ha ricevuto il marchio doc. È qui, nella comunità autonoma di Aragona, che sondaggisti e politologi vengono a tastare il polso per capire che aria tira nel Paese.
La chiamano «l’Ohio di Spagna» perché, come lo Stato americano, la regione aragonese è determinante per capire l’esito delle elezioni politiche. Chi vince qui, vince anche a Madrid. È sempre successo e non per caso.
Le sue caratteristiche socio-economiche, ma anche fisico-politiche, rispecchiano quelle del Paese. Vaste zone rurali e agglomerati urbani, una crescita economica del 3%, partiti autonomisti che hanno un discreto peso. Una Spagna in miniatura. I sondaggi sono in linea con quelli nazionali. «Ma noi qui siamo dati in crescita - spiega Susana Sumelzo, capolista del Psoe, passeggiando sulle rive del fiume Ebro - perché siamo un partito che è stato capace di rinnovarsi». Ma più che i sondaggi è utile raccontare ciò che è successo a maggio, alle ultime amministrative. Qui hanno preso forma quei patti «delle sinistre» che sono l’incubo di Mariano Rajoy. «E, per certi versi, anche della stessa sinistra - spiega Marta Lopez, giornalista saragozzana della Cope, una delle principali radio spagnole - perché non c’è una maggioranza chiara e governare diventa impossibile». La Moncloa, il palazzo del governo di Madrid, è avvisata.
I patti delle sinistre
In Regione ha vinto il Pp, ma senza avere il 51% dei seggi. Anche perché il possibile alleato Ciudadanos, senza il volto del leader Rivera, si è fermato sotto il 10%. E così il Psoe, secondo classificato, ha preso il potere grazie all’accordo con Cha (gli autonomisti di sinistra), Izquierda Unida e soprattutto Podemos. Il partito di Iglesias si era presentato con Pablo Echenique, uno dei big: solo seimila voti in meno dei socialisti (gli aragonesi sono 1,3 milioni). Non è bastato. E così Podemos ha sostenuto l’investitura di Javier Lambán, salvo poi limitarsi a un appoggio esterno.
In città la situazione è simile, la prospettiva però è ribaltata. Eloy Suarez, l’uomo forte del Pp, è stato il candidato sindaco più votato. «E così sarà anche per Rajoy», ripete a poche ore dal voto sotto i suoi manifesti che tappezzano Saragozza. Senza maggioranza, ha proposto un accordo al Psoe, offrendo la poltrona da sindaco.
Ottenuto il rifiuto, la palla è finita tra le mani di Pedro Santisteve Roche, «El Desconocido». Docente e penalista, «Lo Sconosciuto» è un indipendente passato direttamente dalle piazze degli Indignados all’ufficio del sindaco. È uno de «los alcaldes del cambio», quell’ondata di sindaci del cambiamento guidata da Ada Colau (Barcellona) che il vento di Podemos ha portato nelle istituzioni. Dove proseguono la loro lotta contro gli sfratti. «Il Psoe mi ha appoggiato, ma ora si è tirato indietro. Governo senza maggioranza», racconta tra le bancarelle natalizie nella Plaza del Pilar, sotto il suo Muncipio. «Noi e il Psoe in comune abbiamo solo l’elettorato. Siamo due cose diverse e loro ci vedono come nemici. Ci temono. La verità è che in Spagna serve una restaurazione democratica dopo questo regime del bipartitismo. Noi sindaci abbiamo aperto una breccia, il cambiamento è solo all’inizio». Alleanze permettendo.
E qui a Saragozza è ancora all’inizio il dopo-Expo, nonostante siano passati sette anni. L’esposizione del 2008, che ha portato in città importanti infrastrutture come il nuovo terminal dell’aeroporto, il Parco Metropolitano dell’Acqua e il Ponte del Terzo Millennio, ha lasciato anche una cabinovia inutilizzata, un debito da 250 milioni (che pesa sulle casse regionali) e una serie di edifici e padiglioni vuoti che danno all’area un aspetto spettrale. Il padiglione-ponte che attraversa l’Ebro, chiuso al pubblico, è l’emblema del fallimento dei progetti post-Expo. Oltre che un campanello d’allarme per Milano.