giovedì 17 dicembre 2015

La Stampa 17.12.15
In pochi per l’addio a Gelli
Il prete: “Andrà in Paradiso”
L’ingresso principale della chiesa chiuso per evitare i crismi dell’ufficialità. Il suo legale: “Fu un capro espiatorio”. Sarà sepolto con una spilla fascista
di Marco Menduni


Sul manifesto funebre non c’è un simbolo massonico. Né squadre né compassi né triplici punti. Nessuna invocazione alla gloria del Grande Architetto. L’unica sigla è N.H., che sta per nobilis homo e precede il titolo di Conte. Licio Gelli è morto in grazia di Dio, sussurrano i familiari, entrano nella cappella di Santa Maria della Misericordia. Padre Giovanni Serotti, il prete amico da anni, lo difende: racconta che Gelli pregava, si comunicava e che tutti i sacerdoti che l’hanno confessato l’hanno assolto: «La sua era una Massoneria diversa». Intanto però le porte della chiesetta rimangono chiuse a chi vuol tributare l’ultimo saluto al Venerabile della P2. C’è il presepe, la spiegazione ufficiale, e si capisce che è un modo per sbarrare il passo, per deviare, per accogliere con pietà quella salma ma senza il crisma dell’ufficialità. La stessa motivazione, il presepe, usata per negare alla famiglia i locali di un’altra chiesa, più vicina a Villa Wanda. Così si deve entrare dalla porta accanto, quella della pubblica assistenza delle ambulanze, guardati con sgradevolezza o aperta ostilità dai familiari e dai bodyguard della Ombra Security assoldati per l’occasione.
Al cancello di Villa Wanda, dove la seconda moglie Gabriela ha deciso di riportare Gelli quando le sue condizioni in clinica sono apparse disperate, non c’è nessuno. Il carro funebre sbuca dal cancello, sfiorando quelle fioriere che per anni, si era scoperto nel 1998, avevano nascosto 168 chili di lingotti d’oro. Poi l’esposizione della salma. All’anulare destro un anello nobiliare, sul risvolto della grisaglia la spilla del Partito nazionale fascista. L’aveva detto ancora in una delle sue ultime interviste: «Ho combattuto per il fascismo, sono fascista, morirò fascista». Gli occhiali fumé sono nel taschino della giacca, tra le mani giunte corre un rosario. Sui paraventi alle spalle, affogate nel color oro, immagini sacre: il Cristo, la Madonna. Ma non è sacro, quel camminamento per arrivare alla cappelletta, un corridoio dove si affaccia anche un distributore di bibite.
Arriva l’ex patron dell’Arezzo calcio, Piero Mancini. Poi i legali di Gelli. Raffaello Giorgetti scuote la testa: «Non porta con sé nessun segreto. È tutto nei documenti del suo archivio pubblico». Il burattinaio Gelli? «Si definì lui così per scherzo, era una battuta. È stato invece un capro espiatorio. Prima lui, poi Berlusconi, il prossimo chissà. Gelli è stato un grande Innocente». La famiglia, l’ultimo cruccio del Venerabile. Lo svela un altro avvocato, Gian Franco Ricci Albergotti: assisteva Gelli nell’ultima causa civile, ricasco di una vicenda di evasione milionaria per le società trasferite all’estero. Dice Albergotti: «Gelli è morto senza vedere realizzato il sogno dei suoi ultimi giorni: riunire la famiglia». Ora accade. Arriva il figlio maggiore Raffaello, che schiva le telecamere. C’è la seconda moglie Gabriela, la figlia Maria Rosa . L’altra figlia, Maria Grazia, è morta nel 1988 in un incidente e questa tragedia dà ancora fiato alle polemiche. Un amico sulla porta impreca: «I comunisti di Arezzo non vollero nemmeno in dono i 200 milioni di risarcimento donati da Licio all’ospedale». Se ne va furioso. Il secondo figlio, Maurizio, ha rotto con la famiglia. Vive in Uruguay, anche lui sta rientrando. Quando è sera si presenta un gruppetto di ex dipendenti. Valerio, cameriere, ha in casa la sedia del posto a tavola preferita da Gelli. Gli chiese di autografarla, il Venerabile lo fece.
Sono le sette e non c’è più nessuno. Nel deserto l’unico che si lancia in una appassionata difesa è ancora lui, Padre Serotti, superiore del convento di Santa Maria del Sasso, a Bibbiena: «Le inchieste, le condanne? Io ho sempre conosciuto un uomo preoccupato della società italiana, di una democrazia confusa e inefficace. Lui si definiva un perseguitato. Io credo che contro di lui ci sia stato molto accanimento ideologico e partitico, a partire da quello di Tina Anselmi. Ma san Pietro lo accoglierà in Paradiso. Non è misericordia che sollecita il Papa?».