sabato 12 dicembre 2015

La Stampa 12.12.15
Negozi vuoti e rabbia agli sportelli
Arezzo ferita rivive l’incubo di Siena
Città tradita dalla finanza spericolata e da manager senza scrupoli
di Maria Corbi


Venerdì pomeriggio, 12 giorni al Natale, le luci brillano, sui festoni di corso Italia, ma non riescono a far andare via l’ombra cupa che avvolge Arezzo. Sono poche le persone che affrontano lo struscio dello shopping, solo tre ottimisti ascoltano i jingle dell’orchestrina. Nessun Happy Christmas, la felicità è stata spazzata dal disastro della banca simbolo di questa città. Ed eccola, a inizio del corso, la filiale principale di Banca Etruria dove all’ora di pranzo i clienti non entravano dalla porta. «A me hanno dato il numero 100», dice sconsolata una commessa di una delle boutique vicine. «Tutti vogliono togliere i soldi, e chi è stato fregato va lì a sfogare la rabbia. Povera gente». L’amministratore delegato di via Calamandrei, Roberto Bertola, ha un bel dire «non andate via, la banca è solida». Parole che con quello che sta capitando sembrano scritte apposta per Crozza.
Arezzo come Siena, tradita dal Monte dei Paschi. Due gioielli toscani a cui la finanza spericolata e manager senza scrupoli hanno tolto splendore. Il pessimo umore avvolge tutto, e cancella ogni tentazione di festa.
Siena la magnifica, che credeva nel Monte dei Paschi come garanzia di potere e prosperità. Arezzo la prudente, che nella Banca dell’Etruria aveva riposto fiducia e risparmi faticati in una vita. Storie parallele, che tracciano una nuova era per le operose città toscane, un tempo in cima alle classifiche della qualità della vita, ormai in caduta libera. Un tempo. Perché il giorno in cui i risparmiatori sono stati lasciati senza i loro soldi ha cambiato tutto qui ad Arezzo. Un terremoto che ha fatto passare in sordina la scossa vera di giovedì sera quando la terra ha tremato. «Di rabbia», dice Roberta che anche oggi è davanti alla banca a rivendicare i risparmi di una vita. «La nostra rabbia che se non ci ascoltano sarà peggio del Big Ben».
Negozi vuoti, locali deserti, anche il Bar Stefano su in fondo al corso dove a quest’ora di venerdì si faceva fatica ad entrare. Le vetrine hanno strass e vestiti della festa che invitano a comprare, ma in pochi varcano le soglie. Anche da Sugar, il negozio più bello della città - qui passa l’Arezzo che conta - non c’è movimento. Il proprietario, Beppe Angiolini, che è anche presidente onorario della camera dei buyer italiani, spiega che la gente «non se la sente di festeggiare, anche se non è stata danneggiata direttamente dalla vicenda. Ma tutti abbiamo un parente, un amico, che ha subito questa situazione. Non si può far finta di niente. La città è solidale».
«Conosco gli aretini, gente dignitosa, che si vergogna di essersi fatta fregare, che non si mette a fare scenate, che ha forza per riprendersi, ma il clima è pesante. Mi auguro che il governo faccia in modo di rimborsare queste persone che non hanno mai voluto speculare, si sono fidate di chi gli prometteva di mettere al sicuro i risparmi da formichina di una vita». A piazza San Francesco c’è un piccolo raduno. Antonio racconta dello zio ottantenne a cui l’impiegato di banca solo tre mesi fa ha fatto togliere un gruzzoletto dalle Poste per investirlo in Banca Etruria. «Ha perso tutto, vorrei sapere se quell’impiegato e i suoi colleghi hanno perso qualcosa o hanno fatto in tempo a salvarsi. Ci deve essere trasparenza, perché noi tutti, la città, non si rassegnerà. E siamo contenti che anche il nostro vescovo è con noi». L’arcivescovo Riccardo Fontana ha chiesto che si trovi una soluzione: «La gente prova grande sofferenza e rabbia. È delusa, e anche gli operatori della banca ai livelli più bassi che hanno eseguito l’ordine credendo di consigliare bene ora si sentono accusati. La sofferenza economica dei poveri diventa anche una cosa che coinvolge tutti gli aspetti della vita sociale».