sabato 12 dicembre 2015

Repubblica 12.12.15
La rabbia dei piccoli risparmiatori nella sede storica di Etruria: “Togliamo tutto, chi si fida più di questi?”
E ora nel fortino di Arezzo scatta l’assedio agli sportelli “Chiudiamo anche i conti”
“Ritirati 7-800mila euro al giorno”.
di Laura Montanari


AREZZO Arrivano alla banca coi foglietti in mano, passo svelto, conoscono la strada. «Tolgo tutto, chi si fida più di questi?» dice uno e si infila nel palazzone austero, facciata ottocentesca, marmi in terra e mobilio antico, fra via Crispi e corso Italia. È la sede storica di Banca Etruria, ad Arezzo, dal 1881, la banca dell’oro, quella che ha sostenuto e fatto crescere il distretto prima di precipitare nel buio degli ultimi anni. «Trasferisco il conto corrente, non mi convinceranno » promette un’insegnante in pensione che sosta all’ingresso. Rabbia e diffidenza, mille sospetti: il fortino di Etruria è sotto assedio. «Li capisco, è una tragedia, ho visto ritirare in un solo giorno fino a 7-800mila euro. Ma quale salva- banche, se andiamo avanti così non si salva nessuno» racconta un dipendente con trent’anni di servizio. I numeri ancora non certificano la grande fuga, ma soltanto i brividi della paura. «È un fenomeno assurdo — ammette l’amministratore delegato della nuova banca, Roberto Bertola — chi ha obbligazioni senior qui trova rendimenti fra il 2 e il 5 per cento, adesso siamo una banca sana e senza sofferenze. Quale altra in Italia è senza sofferenze? Dico ai clienti di restare». Il problema è distinguere, fra ciò che è stato e ciò che è. Ma le ferite sono troppo fresche per essere archiviate, il via vai agli sportelli consegna facce ancora sgomente. «Riconquisteremo la fiducia dei risparmiatori — promette Bertola, manager bancario di lungo corso, richiamato dalla pensione dal presidente Roberto Nicastro — torneremo ad essere la banca del territorio ». Un passo alla volta, un giorno dopo l’altro, ma quelli che si sono visti azzerare i risparmi? Pensionati, impiegati, cuochi, insegnanti, parrucchieri, meccanici, un esercito di brava gente, mica lupi di Wall Street. «Stiamo lavorando con il governo per trovare una soluzione. Non sarà un rimedio totale e nemmeno indifferenziato. Non sarà qualcosa del tipo — prosegue Bertola — riconosciamo un x per cento a tutti quelli che avevano le subordinate e non potrà essere un aiuto di Stato». Quindi? «Ci sarà un ristoro per le fasce deboli».
Eppure questa storia dove tutto sembra essere precipitato all’improvviso, non è stata un cataclisma, lo ricorda Alessandro Mugnai, segretario della Cgil di Arezzo: «Non ci sono cause naturali in questo terremoto sociale, bisognerà che qualcuno indaghi sulle colpe di chi ha portato Banca Etruria fino a qui». La Federconsumatori di Arezzo annuncia che la prossima settimana presenterà un esposto in procura. «Il collocamento del 2013 è stato fatto in buona fede sperando di salvare la banca» assicura Bertola dal quartiere generale dell’Etruria, vicino all’Autosole e assolve i dipendenti agli sportelli. Fra loro uno racconta: «Eravamo sotto pressione. I dirigenti insistevano, ci facevano anche 2 o 3 telefonate al giorno: le hai vendute? Quante ne hai vendute di subordinate? Credevamo di offrire titoli sicuri, li abbiamo dati anche ad amici e ai parenti. In ufficio facevano la classifica di chi ne vendeva di più: si andava da “sei un mito” a “sei un incapace”. E non avevamo premi di produzione». Si ferma e aggiunge: «Ho visto miei colleghi allo sportello piangere. La nostra credibilità è a pezzi, con quale faccia domani consiglieremo un investimento a un cliente?».