Il Sole Domenica 20.12.15
Trombadori e il Pci
Gli anni della «grande illusione»
di Laura Leonelli
Capita a tutti di riguardare l’album di famiglia e risalire gli anni nel gioco tenero delle somiglianze. Capita invece a pochi di sfogliare più di un centinaio di fotografie chiuse in una scatola, stendere i negativi arrotolati, e scoprire che quell’album, quella famiglia, quella generazione di padri e madri raccontano non solo una vicenda privata, ma un pezzo importante di storia italiana e alcuni dei suoi principali artefici, come narra oggi con puntualità di critico e affetto di figlio Duccio Trombadori, autore e a sua volta protagonista del bel volume Album di famiglia. Gli anni Cinquanta nelle fotografie di Antonello Trombadori . Ma quale famiglia? Una famiglia allargata «di uomini e donne che aderirono al Pci e videro nella politica del “partito nuovo” togliattiano un modo totalizzante per risolvere i problemi umani, morali, sociali, intellettuali e culturali. Una “grande illusione” ideologica vissuta integralmente con spontaneità e sincerità», spiega Trombadori nel salotto della sua casa romana, in un quartiere, Prati, che ha visto la nascita della Resistenza e per coerenza neorealista alcune riprese di Roma città aperta . Ed è viaggiando insieme a Roberto Rossellini, alla volta di Berlino nel 1948, set di Germania anno zero , che Antonello Trombadori a 31 anni - già protagonista della Resistenza romana, giornalista, critico d’arte, sua la mostra manifesto all’indomani della Liberazione, «L’arte contro la barbarie» – acquista una Contax Zeiss-Ikon, con la quale per più di cinque anni fotografa amici e familiari, legati dall’esperienza del comunismo italiano.
Apre la galleria dei ritratti Pablo Picasso, a Roma nel 1949 per il Consiglio mondiale dei Partigiani della Pace, poi ad Arezzo e a Firenze, lungo l’Arno in compagnia di Giulio Einaudi. Immagini a modo loro polemiche visto che l’anno prima Palmiro Togliatti, in un anonimo corsivo su «Rinascita», si era lanciato contro «gli scarabocchi, gli orrori e la scemenza» dei neocubisti italiani, colpevoli di un’arte inutile e formalista. «Di fronte a queste parole grossolane si creò più di un imbarazzo. Mio padre, e con lui Guttuso, Turcato, Consagra e altri artisti, firmarono una lettera di protesta, se la presero con l’autore di quel “giudizio indiscriminato” e però, malgrado i distinguo, accettarono la ripulsa ideologica del “formalismo” in arte».
Nel 1950 Trombadori, allora responsabile della vigilanza del segretario del Pci, accompagna Togliatti in vacanza in Valsesia, e tra i compagni la Contax sorprende Nilde Jotti, Marisa Malagoli e Aldo, figlio di Palmiro, l’unico fuori fuoco e a occhi bassi nella foto di gruppo, in una sorta d’inconscio tecnologico che anticipa la malattia e il futuro isolamento. Un altro passo, e Trombadori ritrae il leader del Pci nel suo studio, pochi giorni dopo un terribile incidente stradale e una delicata operazione alla testa. C’è in questo scatto, intimamente di propaganda, la filosofia che anima nello stesso periodo la Scuola di Partito alle Frattocchie, quel confessarsi con onestà e determinazione per raggiungere nell’autocritica l’identità del “rivoluzionario professionale”. Nelle inquadrature eleganti, pittoriche prima che cinematografiche – Antonello è figlio di Francesco Trombadori, maestro della scuola romana del Novecento – entrano i volti di Maria Antonietta Macciocchi, Alfredo Reichlin, Adriano Aldomoreschi, e subito dopo, in seno al “partito nuovo” di Togliatti, quelli eccellenti di Mario Alicata, Ruggero Zangrandi, Massino Caprara, Dina Rinaldi, Giancarlo Pajetta, Giuseppe De Santis, Giorgio Amendola, Marcella e Giuliana De Francesco. Ma ogni tanto, nonostante le ristrettezze e le ombre della guerra fredda, ci si distende, si gioca a pallavolo in canottiera e scarpe malandate, e insieme a Luchino Visconti, Pablo Neruda, Alberto Moravia, Elsa Morante, e Carlo Levi si partecipa al matrimonio di Renato Guttuso e Mimise Dotti, officiato in Campidoglio da Edoardo D’Onofrio, ex combattente repubblicano nella Guerra civile spagnola. A braccetto della sposa è Fulvia Trozzi, moglie di Trombadori, anche lei partigiana e ausiliaria dei Gap nella resistenza. E sarà di nuovo lei, radiosa, a posare di fronte all’obiettivo del marito, insieme a Duccio bambino, per un manifesto dell’8 Marzo. Ancora un ritratto, forse un unicum , ed è Giorgio Morandi sorridente alla Biennale di Venezia del 1952. Accanto a lui, Giuseppe Ungaretti, Fernand Léger, Mario Mafai, Vasco Pratolini, e di nuovo Duccio in gondola insieme al nonno. Un’aria disinvolta ed energica lega le immagini, da Venezia a Roma, a Capri, ed è quella volontà raggiante e contagiosa di “fare”, fare arte, politica, letteratura, cinema, e studiare, leggere, discutere, anche litigare ferocemente per far sì che l’Italia si aprisse alla democrazia dopo le responsabilità catastrofiche della guerra e del fascismo. E come sempre sfogliando un album di famiglia si prova non poca nostalgia.
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Duccio Trombadori, Album di famiglia. Gli anni Cinquanta nelle fotografie di Antonello Trombadori, Manfredi Edizioni, Cesena, pagg. 192, € 20,00. Il volume sarà presentato il 22 gennaio, alle ore 18 a Roma, alla Casa del Cinema, a Villa Borghese