domenica 20 dicembre 2015

Il Sole Domenica 20.12.15
Un «nonluogo» chiamato Terra
Gli spazi di anonimato, le finzioni dell’immagine e le menzogne dei consumi possono essere anche gli spazi dell’incontro, del possibile avvenimento, dell’attesa e della speranza? La risposta dell’antropologo
di Marc Augé


Due volumi di 800 pagine, con 1.300 lemmi e sottolemmi e un corredo iconografico di 300 pagine di illustrazioni e 160 tavole fuori testo, 430 autori scelti tra i maggiori esperti di ogni discilpina.
La IX appendice dell’Enciclopedia Treccani, in uscita in questi giorni, ha tutta l’aria di essere un’enciclopedia a sé, che ha lo scopo di immergersi a piene mani nella contemporaneità.
Come scrive il direttore scientifico, Tullio Gregory, «terrorismo, guerre, paure, insicurezze hanno messo in moto quello che forse è il più grande esodo della storia moderna, con centinaia di migliaia di profughi che dai Paesi dell’Africa e del Vicino Oriente si dirigono verso l’Europa - attonita e incapace - lasciando sulle vie della speranza migliaia di morti».
Molte voci della IX appendice riguardano questa realtà, accanto a temi come artigianato digitale, cellule staminali, neuroscienze e diritto penale, pirateria informatica, jazz, queer, Vasco Rossi... Abbiamo scelto per i nostri lettori la voce «Nonluogo», scritta da chi ne ha inventato il concetto, Marc Augé, anche perché?in modo inaspettato ha a che vedere con certi aspetti ambigui e double face dell’atmosfera natalizia.

La nozione di non luogo è stata concepita in relazione e per opposizione a quella di luogo o, più esattamente, a quella di luogo antropologico. Il luogo antropologico è il luogo in cui vi è una coincidenza perfetta tra disposizione spaziale e organizzazione sociale.
In esso le regole di residenza sono rigide e si combinano con le regole di filiazione; il sistema che ne risulta può essere, secondo la terminologia degli etnologi, «armonico» o «disarmonico»: armonico quando c’è coincidenza tra la fi­ liazione e la residenza (filiazione patrilineare e residenza patrilocale o filiazione matrilineare e residenza matrilocale), disarmonico quando filiazione e residenza non coincidono (filiazione patrilineare e residenza matrilocale o filiazione matrilineare e residenza patrilocale). In tutti i casi, l’organizzazione sociale è trascritta nello spazio - il che implica, viceversa, che una lettura attenta dello spazio fornisce un’immagine della struttura sociale. La decodificazione del luogo antropologico dà dunque all’etnologo un’idea concreta della struttura sociale: delle regole di filiazione e di residenza, delle modalità di alleanza matrimoniale, della eventuale suddivisione in classi di età, della gerarchia sociale e così via. Le regole variano da un gruppo all’altro, ma vi sono sempre delle regole, più o meno facilmente reperibili, nell’occupazione dello spazio. A completare la definizione di luogo antropologico intervengono vari simboli di identità collettiva, che fanno riferimento alla storia comune o alla religione condivisa. In tal modo il luogo antropologico ha fornito ai primi etnologi una via d’accesso ai gruppi umani che erano oggetto dei loro studi.
Sono stato dunque indotto a chiamare nonluoghi gli spazi caratteristici della “surmodernità”, come gli aeroporti o i supermercati: spazi dove si passa e nei quali non esiste a priori alcun legame simbolico immediatamente decifrabile tra gli individui che li frequentano.
A questo punto si impongono alcune precisazioni e alcune avvertenze:
1) non ho mai voluto opporre il luogo al nonluogo come il bene al male. L’assegnazione a residenza derivante dalla rigida definizione di luogo è esattamente il contrario dell’aspirazione alla libertà individuale che corrisponde in teoria all’ideale di modernità;
2) ciò che per alcuni è un luogo, per altri può essere un nonluogo e viceversa. Non è la stessa cosa trovarsi in un aeroporto come passeggero o lavorarci quotidianamente con dei colleghi, delle postazioni e degli orari di lavoro. Lo stesso vale per un supermercato; [...]
3) in senso stretto è dunque impossibile redigere una lista ponendo fianco a fianco i luoghi e i nonluoghi empirici. Ci può essere un luogo nel nonluogo e viceversa, in funzione degli attori o dei momenti considerati. [...]
4) ciò non impedisce che oggi si moltiplichino gli spazi di circolazione (vie aeree, autostrade, treni ad alta velocità ecc.), di consumo (ipermercati e circuiti di distribuzione, istallazioni turistiche ecc.) e di comunicazione che corrispondono a un cambiamento di scala nella vita degli esseri umani – cambiamento di scala che traduce il termine globalizzazione, sinonimo di urbanizzazione nella misura in cui il pianeta comincia a funzionare come un’immensa città, il mondo-città.
Questo “mondo-città” è composto di metropoli, le “cittàmondo”, più o meno legate le une alle altre attraverso il tessuto, ogni giorno più denso, di zone urbanizzate e di reti di comunicazione virtuali.
La crisi del luogo – Il termine nonluogo oscilla dunque tra una definizione teorica, che rinvia all’impossibilità di produrre una lettura sociale dello spazio condotta termine a termine, e la constatazione di un cambiamento di scala che si traduce nell’inesorabile estensione delle zone urbanizzate così come nell’estensione, parallela, degli spazi del consumo turistico (hotel, villaggi vacanze ecc.) o dell’esilio (campi profughi). [...]
Gli spazi della comunicazione sono dappertutto e colonizzano i corpi individuali. Ciascuno aspira a connettersi con l’insieme del pianeta e c’è da temere che la nuova forma di disuguaglianza tra gli esseri umani opponga coloro che sono “collegati” a quelli che non hanno i mezzi per esserlo. Eppure lo spazio cibernetico non è un luogo nel senso antropologico del termine: non è possibile leggervi nessuna forma di relazione sociale né i simboli di un’identità condivisa. Esso eccede ogni capacità individuale di relazione e sotto questo aspetto la folla degli internauti , che pare metaforicamente assai chiassosa e chiacchierona, somiglia piuttosto alla lonely crowd (folla solitaria) analizzata da David Riesmann nel 1950.
Se il termine nonluogo ha conosciuto una certa fortuna, talvolta a prezzo di alcuni malintesi, ciò è dovuto senza dubbio al fatto che esso dà nome a un sintomo. Questo sintomo passa per un doppio e contraddittorio sentimento di eccessiva pienezza e solitudine, di vuoto e di sovraccarico che si esprime in diversi modi nella società, nella letteratura o nelle arti. Questo fenomeno, che si rivela un po’ dappertutto, potrebbe essere chiamato crisi del luogo. Esso ha diverse cause e diversi aspetti, storici, demografici, geografici e politici. Tutti questi aspetti possono ricondursi al fenomeno del cambiamento di scala nella vita umana, il passaggio alla scala planetaria, vissuto da tutti e da ciascuno.
Il fatto più significativo a tal proposito è certamente il cambiamento di stato del pianeta, che diventa sotto i nostri occhi un oggetto di turismo, un paesaggio. Presto i turisti più fortunati potranno farsi mandare in orbita a contemplare per un po’ di tempo il pianeta nel suo insieme. Questa riduzione del pianeta a un oggetto di consumo turistico è veramente notevole: essa permetterà a qualche privilegiato di provare ciò che avevano già sperimentato gli astronauti di professione, ossia la nostra qualità di “terrestri”. [...] Nel frattempo, le tecniche di comunicazione, più ancora del mercato, e ancor prima l’immaginazione politica, delineano maldestramente e approssimativamente la possibilità di una società planetaria, di un luogo planetario che non sarà estraneo a nessun essere umano. Che cos’è oggi, in queste condizioni, il nonluogo, se non il contesto necessario di ogni luogo possibile?
Da ciò deriva il carattere profondamente ambivalente della nozione di nonluogo. Ci si domanda talvolta e in una buonafede un po’ ingenua: come trasformare un nonluogo in luogo? Con ciò si intende: umanizzarlo, renderlo a misura d’uomo, farlo sfuggire all’anonimato. Ma, nella misura in cui viviamo, semplicemente, passiamo il nostro tempo, dove che sia, a costruire o tentare di costruire legami e luoghi. L’uomo è un animale simbolico. Si può andare ancora un po’ oltre e voler inventare dei luoghi nuovi, nei quali le relazioni tra gli uni e gli altri siano ridefinite sia in una modalità più ludica e provvisoria (per esempio un villaggio vacanze), sia in una mo­dalità più durevole (così alcuni sessantottini sono andati ad allevare capre sulle montagne delle Cevenne). Qeste utopie realizzate corrispondono a ciò che Michel Foucault ha chia­mato eterotopie, ma oggi non può venire alla luce nessuna eterotopia, a meno che non sia inserita in un contesto più va­sto e più globale, quello che definiremo come nonluogo.
La verità del nonluogo, bisogna insistere su questo punto, è dunque in definitiva contestuale. Così il mondo-città (le sue immagini di fluidità, il volo degli aerei nella notte illuminata dalle luci dei grandi grattacieli, le performance dei grandi sportivi ritrasmesse su tutti gli schermi del mondo ecc.) è esso stesso il nonluogo e il contesto, visibile attraverso schermi interposti, del luogo della città-mondo sul quale si possono leggere tutta la diversità e tutte le disuguaglianze della Terra. In questo modo, il non logo del mondo-città è l’ideologia del luogo della città-mondo; esso viene presentato come il suo avvenire o la sua verità, quando invece non è altro che la sua illusione.
Resta il fatto che questa illusione possiede la sua parte di verità, la parte di verità del desiderio, che forse spinge alla nascita dell’illusione. Il luogo empirico è spesso il luogo del rifiuto degli altri e delle diffidenze interne, della gelosia, della sorveglianza e del segreto – il che non toglie nulla alla dolcezza del focolare, dei ricordi di infanzia e delle successive nostalgie. Per quel che riguarda i nonluoghi empirici, essi sono gli spazi di anonimato, le finzioni dell’immagine e le menzogne del libero consumo; ma sono anche gli spazi dell’incontro, del possibile avvenimento, dell’attesa e della speranza.
Dal momento in cui il pianeta diventa un paesaggio che un turista può abbracciare con un solo colpo d’occhio, esso diventa il contesto finale, il nonluogo ultimo o piuttosto, sulla scala dei tempi a venire, il luogo Terra infine compiuto, a partire dal quale l’umanità dovrà ancora cambiare scala temporale e spaziale per proiettarsi un po’ più lontano nel sistema solare. Stiamo assistendo non alla fine della storia, ma alla fine della preistoria dell’umanità terrestre come società planetaria.[...]