venerdì 4 dicembre 2015

il manifesto 4.12.15
Migranti, Copenhagen verso il «no» alle direttive Ue
Referendum. Ieri 4 milioni di danesi al voto su sicurezza e giustizia. Il "no" leggermente avanti nei sondaggi
di Guido Caldiron


Previsto inizialmente per l’anno prossimo, ma anticipato per non correre il rischio di incrociare quello sulla Ue che si svolgerà in Gran Bretagna, il referendum con il quale oltre quattro milioni di danesi sono stati chiamati a pronunciarsi ieri su alcune norme in materia di sicurezza e giustizia, può essere considerato per certi versi come il primo test elettorale europeo dopo le stragi di Parigi del 13 novembre. Questo, in ogni caso, il clima che ha accompagnato l’evento nel paese scandinavo.
A contrapporsi, da un lato gran parte del mondo politico locale, compreso il premier liberale Lars Lokken Rasmussen, che da giugno guida un esecutivo di minoranza di centro destra grazie all’appoggio esterno del Dansk Folkeparti, su posizioni euroscettiche e anti-immigrati, e i socialdemocratici, che siedono invece all’opposizione, dall’altro principalmente proprio il Partito del popolo danese, seconda forza del paese in costante crescita nei consensi ormai da diversi anni.
Se in passato questo sarebbe stato considerato alla stregua di un voto di routine — dopo che nel 1992 i danesi respinsero in prima battuta, con un’altra consultazione popolare, il trattato di Maastricht, la successiva adesione allo spazio Ue fu vincolato a ulteriori verifiche interne delle norme varate man mano a Bruxelles -, grazie all’allarme internazionale per il terrorismo di matrice islamica e soprattutto al precedente allarme sull’arrivo di profughi e migranti che la destra populista non ha smesso di enfatizzare, l’appuntamento ha finito per assumere un carattere politico di primo piano.
Così, malgrado i quesiti sottoposti a referendum riguardino soltanto la possibilità o meno che Copenhagen recepisca alcune norme europee in materia di ordine pubblico, sicurezza e lotta alla criminalità, in totale 22 direttive della Ue, tra cui spicca la possibile appartenenza alla struttura dell’Europol che a partire dal gennaio del 2016 opererà su base sovranazionale, centralizzando i propri uffici, mentre su immigrazione e diritto d’asilo il paese continuerebbe a decidere per conto proprio, la campagna in vista del voto si è polarizzata tra il sì e il no all’Europa.
Per il Dansk Folkeparti, la cui posizione è racchiusa nello slogan che ha accompagnato meeting e comizi da un angolo all’altro del paese, «Più Ue? No grazie», se passasse il sì, i danesi rischierebbero di perdere il controllo dei propri confini e dovrebbero accettare la politica comunitaria di ripartizione dei richiedenti asilo, fortemente osteggiata da una parte della popolazione malgrado quest’anno il paese non abbia accolto che un decimo dei profughi arrivati nella vicina Svezia. «Una volta concesso il potere di decisione a Bruxelles, non potremo più tornare indietro e recuperarlo», spiega il deputato europeo del partito xenofobo Morten Messerschmidt. Mentre per il ministro della giustizia, Saren Pind, che sostiene una maggiore integrazione del paese nell’Europa politica, «dopo gli attacchi di Parigi e la crisi alle nostre frontiere, le persone hanno paura e sono facilmente vittima di demagoghi».
In base agli ultimi sondaggi, realizzati prima dell’apertura dei seggi, le due posizioni sarebbero testa a testa, anche se il no supererebbe il sì di un soffio, 42% contro 39%.