il manifesto 1.12.15
Roma, per le primarie Pd va a caccia di sinistra
Orfini: «La coalizione resta, se no Sel che dirà ai suoi?»
Paolo Cento (Sel): «L’alleanza è morta, uccisa dai dem, ora ci dicano se rinasce su Fassina». Che attacca: «Matteo ormai pensa all’Ncd»
di Daniela Preziosi
Poco importa che a Roma la sinistra abbia lanciato il suo candidato, che è il deputato di Sinistra italiana Stefano Fassina; poco importa che le dichiarazioni di disamore fra sinistra e Pd ormai siano all’ordine del giorno. I democratici romani sono convinti che comunque in primavera le primarie di centrosinistra si faranno. O almeno provano a mettere in circolazione questa convinzione, che oggi sembra irrealistica. «Chi ha detto che Sel non sarà della partita delle primarie?», spiega il commissario del Pd romano Matteo Orfini al manifesto. «In caso contrario farebbero una certa fatica a spiegarlo ai loro elettori. E anche ai loro eletti. Gli elettori del centrosinistra non vogliono che per incomprensibili ragioni nazionali si rompa un fronte, a tutto vantaggio delle destre». Nel cui mazzo, per inciso, il presidente Pd infila anche il movimento 5 stelle.
La verità è che in queste settimane il pressing su Sel perché torni sotto lo stesso tetto degli ex alleati democratici è forte. Fortissimo. Non passa giorno che il presidente del Lazio Nicola Zingaretti non auspichi la ripresa del dialogo. Oltre alla coalizione in regione, nella Capitale il Pd continua a governare con la sinistra praticamente in tutti i municipi: tranne il sesto, dove le due forze si erano divise già al voto del 2013, e il decimo, quello di Ostia, sciolto e commissariato per infiltrazioni mafiose. Paolo Cento, coordinatore di Sel a Roma, è certo che il pressing è destinato a aumentare: «A gennaio il Pd scatenerà l’offensiva su di noi perché sa che l’alleanza con la sinistra è la sua unica chance di arrivare almeno al ballottaggio», ragiona. Ma «a Roma il centrosinistra è finito con un atto notarile che ha impedito un dibattito democratico sull’amministrazione Marino. Peraltro le primarie fatte così, telecomandate dal governo e addirittura riunite in un’unica data nazionale — il 20 marzo — quasi fosse un referendum su Renzi, non hanno niente a che vedere con noi. Sinistra italiana ha già messo in campo il suo candidato. È Stefano Fassina. Anziché mandare messaggi, il Pd risponda chiaramente: per loro Stefano è un nome su cui si può ricostruire un’esperienza unitaria?».
Difficile. Così come quasi impossibile è immaginare la ricomposizione della vecchia alleanza che ha governato la città dal Rutelli II a Marino passando per le due giunte Veltroni. Fassina è ormai in campo e si dichiara «alternativo al Pd». Orfini è tagliente: «Conosco Stefano, a volte gli sfuggono battute e dichiarazioni di cui non è convinto neppure lui». Fassina replica con lo stesso tono: «Orfini parla di primarie di coalizione? Ormai lui pensa alla coalizione con l’Ncd di Alfano».
Resta che dopo la cacciata di Marino il Pd ormai ha sempre meno carte per attrarre la sinistra. Forse solo candidature di frontiera come quella del senatore Walter Tocci o quella dell’ex ministro Fabrizio Barca (entrambe però molto improbabili) potrebbero attrarre un pezzo dell’elettorato radical. Anche dall’ala più dialogante del coté vendoliano l’ipotesi della riapertura del dialogo è lontana. «Se davvero Orfini volesse riallacciare un rapporto», è il ragionamento, «dovrebbe dire: ok, abbiamo sbagliato, noi più degli altri perché siamo la forza più grande. Facciamo tutti punto a capo e vediamo se ci sono le condizioni per una ripartenza. Invece la mette sul piano della sfida alla nostra unità interna».
Resta ancora in campo l’ipotesi del ritorno dell’ex sindaco. Ma oggi è meno probabile. Di fronte a chi ci ha parlato ha ammesso: «Ci sto pensando», ma senza la carica emotiva di fine ottobre. Giovedì prossimo Sel lo ha invitato a un confronto pubblico in un laboratorio dell’Alessandrino. Ma, nel caso, Marino si presenterebbe dentro o fuori le primarie? «Non ci sono le condizioni per fare una coalizione di centrosinistra che includa Sel perché il Pd vede Roma come una proprietà di Renzi. In città è aperta una questione democratica», avverte Gianluca Peciola, ex consigliere comunale vendoliano. «Dopo la defenestrazione violenta del sindaco, il Pd è un partito che non sa come uscirne. La città oggi non è governata e la tregua giubilare permette questo ’non governo’. Tronca cerca di fare del suo meglio ma non conosce Roma. Più che altro si tenta un laboratorio di governo della città da parte di Renzi che è presidente del consiglio, segretario del Pd e ora anche sindaco di Roma».