Così Renzi si prende tutta la Rai
Il Sole 23.12.15
Rai, l’ad nominerà tutti i dirigenti
Sì definitivo del Senato alla riforma - Cda snellito a 7 membri, trasparenza sugli stipendi
di Marco Mele
ROMA La Rai ha una nuova governance. Si applicherà al rinnovo del consiglio di amministrazione, nel 2018. Il servizio pubblico avrà da subito un amministratore delegato: l’attuale direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto.
Il Senato ha approvato ieri, per alzata di mano, in via definitiva, il testo del disegno di legge che modifica la governance del servizio pubblico, aumentando i poteri del Governo nei confronti dell’azienda radiotelevisiva. L’esecutivo in carica proporrà, attraverso l’assemblea dei soci, il nome dell’amministratore delegato al cda, deciderà direttamente la nomina di due consiglieri su sette, manterrà la proprietà delle azioni Rai e detterà gli indirizzi, d’intesa con l’Agcom, del contratto di servizio quinquennale della Rai, compito a cui finora era estraneo. Il cda potrà revocare il mandato dell’amministratore delegato, sentita l’assemblea dei soci. Saranno ridefiniti e ridimensionati i poteri del presidente e del consiglio di amministrazione, nominato per l’ultima volta, a luglio, con la legge Gasparri, una volta recepita la legge nello statuto della Rai, intorno alla fine di gennaio. Il giudizio delle opposizioni è durissimo. Forza Italia, con Paolo Romani, parla di «Rai del Governo»: Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, Fi, denuncia «profili di incostituzionalità nella nomina di un amministratore delegato con pieni poteri nominato dall’esecutivo: vi sono sentenze della Corte Costituzionale - continua Gasparri - che rivendicano il ruolo del Parlamento nella nomina dei vertici del servizio pubblico. Vedremo cosa dirà la Consulta se verrà interpellata». Per Roberto Fico, Movimento5Stelle, presidente della Vigilanza, «l’indipendenza dell’azienda dalla politica sarà, così, sempre più fragile. Una Rai guidata da un uomo solo al comando. In qualsiasi democrazia sarebbe impensabile». Per Raffaele Ranucci, Pd, relatore della legge, invece, «la Rai ha ora tutti gli strumenti per essere un’azienda moderna, che può concorrere sul mercato televisivo e multimediale. Metterla nelle condizioni di eccellere a livello internazionale era un pezzo importante del percorso di crescita del Paese».
Molto critico anche il parere della Federazione della Stampa e dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai: «Arriva un doppio colpo all’autonomia del servizio pubblico - sottolineano Beppe Giulietti, neo presidente della Fnsi e Vittorio Di Trapani, appena confermato a segretario dell’Usigrai: la Rai viene posta alle dirette dipendenze del Governo, con un capo azienda con molti più poteri e con la presa di controllo, anno per anno, dei finanziamenti al servizio pubblico, strumento per condizionare la gestione e le scelte editoriali». Per Franco Siddi, consigliere Rai, «i consiglieri vengono sgravati delle responsabilità amministrative, gestionali e di “cucina”: possiamo dedicarci ai temi strategici del pluralismo e dei contenuti tipici del servizio pubblico».
Nello stesso giorno è approvata la legge di stabilità 2016,con la previsione di un importo fisso versato alla Rai sino al 2018, circa un miliardo e 650 milioni, depurato del 5% ma aumentato del 50% di quanto oltrepasserà tale cifra nel 2016. Percentuale che scende al 30% nel 2017 e nel 2018. Cifre e percentuali che potranno anche essere modificate dalla prossime leggi di stabilità. La restante percentuale degli introiti “supplementari” andranno: al Fondo per il pluralismo, ovvero alle tv locali, sino a cinquanta milioni di euro; il resto al Fondo per la riduzione della pressione fiscale.
Saranno resi pubblici, nel Piano per la trasparenza che i vertici dovranno approvare, gli stipendi lordi di tutti i dirigenti della Rai e dei suoi amministratori e dei “non dipendenti” che superano i 200mila euro annui, giornalisti inclusi, ma star artistiche escluse. A disposizione, tra l’altro, dei concorrenti della Rai sul mercato.