Il Sole 23.12.15
Così il governo conta di più nel servizio pubblico
di Marco Mele
Poteva essere la grande riforma del governo Renzi. Quella che poneva la parola fine all’occupazione dei partiti in Rai. Quella con un vertice nominato a maggioranza da componenti della società e dell’industria audiovisiva, abolendo la Vigilanza. La scelta del Governo è caduta su un provvedimento dai tempi rapidi di attuazione, con la parola d’ordine della Rai “azienda normale”. Il dg prende i poteri dell’ad e nomina tutti i dirigenti (finora poteva solo proporli al cda prima e al presidente poi). Per quelli editoriali deve sentire il parere del cda, decisivo se espresso a maggioranza dei due terzi per i soli direttori di testate, non per reti e canali. Antonio Campo Dall’Orto ha intelligenza ed esperienza quanto basta per condividere le scelte con presidente e consiglieri. È una prassi saggia, ma è una prassi, non la legge. Il Governo ha più “peso” nella Rai: oltre alla “proposta” dell’ad e a due consiglieri su sette, detterà gli indirizzi per il rinnovo quinquennale del contratto di servizio, d’intesa con l’Agcom. Le novità stanno nei curricula pubblici richiesti per i quattro consiglieri nominati dalle Camere (anche dal Senato senza elezione diretta?) e nel rappresentante dei dipendenti nel Cda. Il presidente di garanzia che diventa tale con il voto dei due terzi della Vigilanza potrà “frenare” le scelte di un partito vincente con premio di maggioranza alle prossime elezioni. Sempre che il vertice Rai arrivi a quella data.