Corriere La Lettura 20.12.15
Il segreto del potere nel colore di Piero
di Aurelio Picca
Roberto Longhi direbbe che il Ritratto di Federico di Montefeltro è «splendore zenitale»; eppure, sempre per usare le sue lucide e sontuose partiture, quel Volto ha bisogno di un «serrato scrutinio» (innanzitutto per Piero, a 600 anni dalla nascita nel 2016: dal 13 febbraio Forlì gli dedicherà una grande mostra) giacché deposita segreti, satura coincidenze, determina vuoti e pieni semantici (si sarebbe detto) di portata quantomeno eccentrica e singolare. Come se il Ritratto fosse la storia stessa del Duca di Urbino.
Piero, che sarebbe morto nel 1492, dipinge il Montefeltro sul lato sinistro (occhio di rospo, naso a sbalzo, collo taurino, labbra sottili, mento sessuato, capelli crespi, orecchie importanti, ma sguardo che si posa domato sul proprio potere) perché il lato destro gli venne sfigurato in un torneo. Federico, figlio bastardo, è assai probabile che congiurasse contro il pervertito Oddantonio, fratellastro, divenendo Signore legale dell’Aquila nera dei Montefeltro. (Qui si apre il «lato destro» e irrompe la Flagellazione , forse a ricordare il sacrificio di Oddantonio. Il fondale scelto è un porticato con 4 colonne, oggi sede di un asilo).
Dunque il Montefeltro, ma soprattutto l’astuzia del pittore di concentrare e «nascondere» nei ritratti le geometrie di cartapesta, per poi allungarle con golosità e cuore melodico dove, magari, la Madonna del Parto recita con pudore e impudicizia la stagione di un’immensa libertà espressiva. Infatti, la giovane Madonna umbro-toscana sembra sussurrare fra sé e sé: «Eccomi qua! Si nota il Pancione?». Mentre gli angeli lacchè armeggiano ordinariamente con il sipario. Piero, quindi, sa costruire o abolire i palchi teatrali, le ironie adolescenziali (Longhi: «…battagliette su spalti di mollica…»), le linee geometriche che ingabbiano e promuovono irrealtà. Ora si «concentra» per far svettare il Volto del Duca, pur non privandosi dei segreti del committente — che poi sono i suoi stessi segreti: luce, furbizia, vitalità e talento da giovane per sempre. E proprio in virtù di ciò: gli spazi di immaginazione e contaminazione e specularità si dilatano.
Per ragioni reali ed esoteriche, accade che il Ritratto del Montefeltro, oggi agli Uffizi, sia interscambiabile con il suo Palazzo. Infatti quanto è universale il Volto così la sua dimora rinascimentale è una «Città in forma di palazzo», per dirla con Castiglione. In altre parole, la reggia portata a termine dal Laurana, si trasforma in tutta la città di Urbino. Ecco l’estensione del segreto: Palazzo Ducale è al contempo il ritratto del suo progettista in pectore (pare che Federico abbia suggerito i famosi torricini a forma di cilindro di mago) e La Città Ideale . Ma se sparisce il Palazzo, che è il volto glorioso dipinto da Piero, sparisce Urbino.
La città è circondata dai colli delle Cesane i quali producono quinte serrate, rendendo la notte tra le più emblematiche tra le capitali d’arte. L’unica luce, dunque, non proviene dal cielo bensì dal Palazzo, o dal Ritratto al quale Piero dà luce reale rubandola alla campagna a nord-ovest di Urbino che fugge sul Metauro e Urbania. Anche se è bene pensare che quel paesaggio a 360° sia l’occhio che congiunge Umbria, Marche, Romagna, Toscana dalla Rocca di San Leo conquistata da Federico a suo cugino Sigismondo Malatesta, signore di Rimini.
Ma è ancora Piero che, attraverso la sua pittura, racconta ciò che a noi sembra di immaginare. Infatti, come la notte di Urbino è illuminata dal Ritratto–Palazzo, così nella Misericordia la Madonna provvede a spalancare di luce, appunto misericordiosa, il sipario dell’Universo per raccogliere coloro che ne godono. Il segreto dell’amore-odio tra Sigismondo e Federico (il primo cinque anni più adulto, necrofilo, folle, «alto e slanciato, a mo’ di sottile lama», e comunque esteta e mente finissima; basti pensare al Tempio Malatestiano) è sancito dal ritratto di Sigismondo in ginocchio che Piero pone in affresco ( San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta — anche i levrieri si incrociano! Che meraviglia!). Mentre, addirittura, nel Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta — nello specchiarsi, congiungendosi, dei due lati «sinistri» — si compiono le nozze tra due personaggi leggendari.
Eppure, nella nostra piccola macchina immaginaria, seppur tenuta in moto dai dipinti, il Ritratto di Federico di Montefeltro si può ben porre tra i dilemmi e misteri già prodotti: da la Gioconda a La Muta di Raffaello (codesto «mistero» lo introduciamo noi). Dunque accade che se il segreto della Monna Lisa è nella sua irrealtà, o ambigua purezza — imprendibile, vive in eterno — il segreto de La Muta sta nell’ amore povero . Ella ha conosciuto l’orrore della bufera, il buio urbinate. Di lei si può abusare, la si può toccare. La Muta ha l’aureola nera dei giorni che verranno. Invece il segreto celato nel Ritratto di Federico è quello del potere. Che ha prodotto ricchezza con la spada, e bellezza chimerica. Ma questo segreto è nelle mani di Piero, che riduce in coriandoli ogni nuova o remota Avanguardia.