domenica 20 dicembre 2015

Corriere 20.12.15
Nel «ridotto della Valtellina», aspettando (invano) Mussolini
di Dino Messina


È possibile, a 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, leggere (e apprezzare) senza pregiudizi la testimonianza di un ragazzo di Salò che a 19 anni scelse di stare dalla parte sbagliata? La risposta è doppiamente affermativa per Io fascista di Giorgio Pisanò (1924-1997), che il Saggiatore ripropone a 18 anni dalla prima edizione e dalla morte dell’autore. Il libro, che Pisanò aveva scritto e tenuto nel cassetto nel 1964, uscì pochi mesi dopo lo storico discorso di insediamento da presidente della Camera di Luciano Violante, uomo di sinistra che nel 1996 invitò a capire le ragioni dei ragazzi e delle ragazze che dopo l’8 settembre si erano schierarti in buona fede, per l’educazione ricevuta, per mantenere la parola data, con i fascisti. L’intervento di Violante contribuì a rendere più sereno e obiettivo il discorso pubblico italiano.
Il secondo motivo per cui bisogna leggere Io fascista è il fatto che dalle ricerche di Pisanò, contenute in minima parte in questo volume che è sostanzialmente una testimonianza autobiografica, sono partiti una serie di autori meritevoli di aver sdoganato un «non detto» della storia italiana. Lo stesso Giampaolo Pansa, autore del Sangue dei vinti e di una fortunata serie di volumi sulla guerra civile italiana, ha riconosciuto pubblicamente il suo debito verso Pisanò.
Il racconto di Io fascista ci introduce subito nel capitolo cruciale e conclusivo della storia di Salò: la formazione, nel famoso «ridotto della Valtellina», di un gruppo di fedelissimi che avrebbe atteso Mussolini fin dopo la sua morte a Giulino di Mezzegra. Poche centinaia di illusi (e fanatici) pronti a combattere sino all’ultimo uomo. Quei giovani che avevano deciso di resistere non immaginavano e non volevano credere, neppure quando qualcuno glielo raccontò, che il loro idolo, anziché cercare a viso scoperto «la bella morte», secondo l’espressione che dà il titolo al romanzo di Carlo Mazzantini, era stato catturato mentre, travestito da soldato tedesco, cercava di raggiungere la Svizzera.
Durante la detenzione a Sondrio Pisanò fu testimone dei processi sommari istruiti da improvvisati «tribunali del popolo» a carico dei repubblichini ritenuti più feroci: la convocazione per l’interrogatorio significava condanna a morte. I prigionieri di Sondrio accolsero come salvatori i carabinieri, che finalmente portarono un po’ di regole in quei giorni di vendetta.
All’autore di Io fascista , che pure non aveva commesso crimini, toccarono 18 mesi di prigionia. Da Sondrio a San Vittore, da Terni a Spoleto, a Firenze, Pistoia e al campo 370 Pow di Rimini, una testimonianza dalla parte dei vinti documentata con una prosa fluida (Pisanò fu nel dopoguerra giornalista, oltre che per vent’anni parlamentare del Msi) e con foto scattate grazie a una macchina fotografica nascosta in una tasca segreta.