Corriere 3.12.15
Il rischio boomerang non ferma il premier
di Massimo Franco
Il problema, per Matteo Renzi, non è solo quello di non riuscire a imporre i propri candidati a sindaco. L’insidia maggiore è di essere percepito, proprio lui che ne è il figlio, come un avversario delle primarie del Pd. Fa un po’ impressione il sollievo con il quale viene salutata la notizia di «primarie vere, aperte, coinvolgenti e partecipate» per decidere il candidato a sindaco di Milano. È contenuta nel comunicato diffuso ieri dopo l’incontro tra il premier con i numeri due Deborah Serracchiani e Lorenzo Guerini, e Giuliano Pisapia e la sua vice Francesca Balzani.
Evidentemente, la strategia del «caso per caso» ipotizzata dal vertice provocava e provoca qualche inquietudine. Viene vista come un’arma impropria che il segretario-presidente del Consiglio potrebbe essere tentato di usare per addomesticare un partito indocile, sul quale regna senza riuscire a governarlo davvero: soprattutto a livello locale. La sensazione è che Renzi non abbia rinunciato a Giuseppe Sala come successore di Pisapia; ma che l’attuale sindaco abbia tenuto ferme le sue obiezioni, essendo espressione di un’alleanza con la sinistra che appare in bilico: e non solo nel capoluogo lombardo.
Colpisce anche la sfilza degli aggettivi scelti per definire le primarie. Suonano come una sorta di esorcismo contro la prospettiva di un appuntamento pilotato dall’alto, quasi truccato. Sotto questo aspetto, il destino di Renzi non si distacca molto da quello dei predecessori. Ogni volta che decidevano primarie fatte non per consacrare una scelta già fatta, ma per aprire una competizione sulle candidature a sindaco, i segretari si ritrovavano per lo più con un «esterno» partorito dalle faide tra i Dem; o comunque con personalità fuori dall’apparato.
Renzi è stato questo: sia quando è stato eletto a Firenze, sia quando è diventato segretario. Solo che adesso si rende conto di rischiare le stesse dinamiche nelle quali si è imbattuto prima di lui Pier Luigi Bersani. Con l’aggiunta di non avere avuto una consacrazione elettorale del Parlamento, a parte le europee di un anno e mezzo fa. Permettere che il Pd si confronti dovunque, e si divida anche, comporta dei rischi di frantumazione.
Ma nell’ottica del gruppo dirigente dovrebbe anche garantire che, una volta selezionati candidati e candidate, nessuno faccia mancare il proprio appoggio.
Perché l’altra incognita che Renzi vuole disinnescare è la tendenza delle minoranze del partito a dissociarsi dalle scelte della maggioranza; e a minacciare il disimpegno o addirittura la creazione di liste alternative. Insomma, accettano a malincuore la sconfitta interna. L’incastro non sarà semplice. Il premier deve sperare che il 2016 rafforzi e non indebolisca la sua leadership.