Corriere 3.12.15
La versione di Pomicino «Dc meritocratica, Renzi ha solo yesmen»
di Fbrizio Roncone
roma A pagina 253 di un libro con un titolo fortemente allusivo, La Repubblica delle giovani marmotte — «Ha presente Qui Quo Qua, i nipoti di Paperino? Anche loro erano dei boy-scout…» — il passaggio più graffiante: «Se Berlusconi era, diciamo così, un berlusconiano frou-frou, perché nel suo intimo è rimasto sempre uomo di spettacolo, Matteo Renzi è un berlusconiano che porta con sé il bagaglio culturale e comportamentale dello scoutismo internazionale. La visione della vita come un grande gioco, la tenacia, il sorriso, la pazienza e il coraggio come virtù civili, la superficialità di chi conosce un poco di tutto e niente di molto…».
Così scrive Paolo Cirino Pomicino, uno dei grandi capi della Dc che fu. Temuto. Riverito. Due volte ministro. Nel tritacarne giudiziario di Mani Pulite. Il più eccentrico degli andreottiani (corrente potente e assai discussa: si partiva da Salvo Lima e si finiva a Vittorio Sbardella, lo squalo).
Libro zuppo di orgoglio e nostalgia («Nel decennio 83-92 l’Italia ebbe solo quattro presidenti del Consiglio: Craxi e Andreotti con tre anni e mezzo ciascuno, De Mita e Goria, ognuno per un anno») ma anche pieno di seducente sarcasmo, serissima giocosità, intatto desiderio di polemizzare.
La miccia è accesa nella prefazione da Giuliano Ferrara: «Su Renzi, secondo me, PCP sbaglia ancora, e sbaglia tutto. Da un lato lo mette sul piedistallo di una cultura di riferimento cattolica o democristiana, insieme al presidente Mattarella, che con Renzi è arrivato al Quirinale; dall’altro lo squalifica perché troppo giovane, presuntuoso, tipico soggetto di una leadership personale che può premiare solo la mediocrità dei circoli interni e dei consiglieri d’infanzia e di territorio».
Ora dovreste immaginarvi Pomicino, mentre si appresta a rispondere. Nello sguardo c’è il guizzo di sempre. Sprizza astuzia e autoironia: doni sublimi del carattere che gli hanno consentito di diventare la maschera più festosa di una stagione politica dove il potere era livido e serissimo.
«La selezione politica nella mia Dc, ma anche nel Pci, ad essere sinceri, era basata sulla meritocrazia: in questa fase, invece, sembra sufficiente essere nati sulle colline di Firenze. Le correnti erano una ricchezza, non un fastidio». Elenco di leader lunghissimo: Andreotti, Forlani, De Mita, Gava, Fanfani, Zaccagnini… «Oggi, intorno al tavolo, siedono in tre: Renzi, Lotti e la Boschi. Pochino, e lo dico con il rispetto dovuto. Tutti gli altri aspettano fuori, pronti a dire sì, certo, benissimo, ottima decisione». Succedeva anche ai suoi tempi, onorevole. «Ma proprio per niente! Io, per dire, avevo i miei voti napoletani e la mia autonomia di pensiero. Una volta polemizzai con Andreotti, al quale ho sempre dato del lei, e lui, voltandosi, mi disse: “Paolo, no, per capire: stai per caso insinuando che sono uno stronzo?” C’era dibattito, dissenso, c’era politica». Poi arrivò Silvio Berlusconi. «Figlio legittimo dei magistrati di Milano: è stato lui ad inquinare i pozzi della democrazia».
Con il libro davanti, un colloquio lunghissimo pieno di aneddoti, perfidie, nuove intuizioni.
Paolo Cirino Pomicino ha 76 anni e ancora una bella furia di vivere e fare politica. «Beh, tenga conto che io ho anche un cuore piuttosto giovane. Sa, certi politici si fanno il lifting, io mi cambio direttamente gli organi».