martedì 29 dicembre 2015

Corriere 29.12.15
Dure critiche all’Italia dai tre economisti Ue
Studio anti-Italia dei funzionari europei, tre economisti che fanno parte del team che a Bruxelles sta esaminando la legge di Stabilità: «L’Italia è condannata dalla poca produttività».
di Federico Fubini


Una nazione con la più bassa quota di laureati fra le trenta democrazie industriali, che ne spinge uno ogni dieci a emigrare (anche) perché il costo di aprire un’impresa è fra i più alti al mondo, non ha più molto tempo. Per evitare un lungo declino nel ventunesimo secolo, le serviranno un approccio radicale e molti anni. Quest’Italia che ormai da un quindicennio sta perdendo contatto con i migliori standard produttivi dell’Occidente non può aspettare: il cambio di rotta è «urgente» proprio perché girare questa nave sarà un’operazione lenta.
Non è la prima volta che dall’estero arrivano analisi severe su quella che un tempo è stata la sesta economia del mondo (oggi la nona, dopo Brasile e India). In certe occasioni però non conta solo il merito dell’analisi, ma anche chi la svolge e quando. Qualche giorno fa, ne hanno proposto una sul sito www.vox.eu Dino Pinelli, István P. Székely e Janos Varga. Nessuno dei tre è noto in Italia, ma le loro idee contano perché questi analisti sono al cuore del lavoro che la Commissione europea sta svolgendo sulla Legge di stabilità e sul programma di riforme del governo di Matteo Renzi. Soprattutto il primo, Dino Pinelli: è il capo del «desk Italia» della direzione generale Affari economici di Bruxelles, l’ufficio da cui parte la valutazione sulla manovra in deficit del governo. Anche Székely e Varga si trovano in posizioni delicate, il primo direttore di ricerca e il secondo economista alla direzione generale di Bruxelles che sta passando al vaglio la Legge di stabilità dell’Italia.
Questo gruppo il 22 dicembre ha proposto l’anticipazione di un lavoro che sta per pubblicare per conto della Commissione Ue. Non è formalmente la posizione ufficiale dell’istituzione, ma è difficile che se ne discosti molto e il carattere draconiano degli argomenti è senz’altro inusuale. Pinelli, Székely e Varga ricordano che è da metà degli anni ’90 che il reddito per abitante in Italia perde terreno rispetto alle altre economie europee. Un problema specifico spiega questo ritardo: in Italia la «produttività totale dei fattori» è in calo (in media dello 0,3% l’anno) dalla fine del secolo scorso. È un caso praticamente unico, mentre cresce quasi ovunque nel resto d’Europa e ancora di più negli Stati Uniti (vedi grafico). Questo è l’indicatore che riassume la ricchezza che si crea in un’ora di attività produttiva, una volta sommati tutti i fattori che vi contribuiscono: l’organizzazione e le regole del lavoro, le competenze, gli investimenti e la tecnologia, la burocrazia, l’apertura del mercato, le infrastrutture o le forniture energetiche. La «produttività totale dei fattori», più del debito o della crescita, è il termometro del sistema. È in Italia, caso quasi unico, va giù da 15 anni.
Pinelli, Székely e Varga sottolineano alcune cause di questa anomalia: non solo la quota bassissima dei laureati e delle competenze di base, ma soprattutto il ritardo dei giovani nell’istruzione rispetto anche a Polonia, Corea del Sud o Spagna. Pesano inoltre le difficoltà poste dalla burocrazia o dalla giustizia, riassunte nel costo impossibile di lanciare un’impresa o dalla posizione dell’Italia agli ultimi posti per gli investimenti dei fondi esteri più dinamici.
La stessa riforma del lavoro elimina appena un quarto del ritardo dell’Italia sull’area euro per i costi di ogni contratto. Pinelli, Székely e Varga riconoscono le riforme di Renzi sulla scuola o con il Jobs Act. Ma aggiungono che restano «debolezze strutturali fondamentali» e che «il ritorno a una crescita sana richiederà uno sforzo straordinario», sottolineando «l’urgenza di muoversi con decisione». Non è chiaro se sia un anticipo del giudizio sulla richiesta del governo di nuova flessibilità sui conti in cambio delle riforme fatte. Ma rivela qualcosa di come sembra l’Italia oggi, vista da Bruxelles.