Corriere 1.12.15
La partita della Consulta e la variabile Italicum
Nuova seduta comune. I tre candidati di Pd, Ncd e FI sono favorevoli alla legge elettorale
di Dino Martirano
ROMA Ventotto fumate nere e ancora oggi, in occasione della ventinovesima seduta comune di Camera e Senato, il Parlamento potrebbe non essere in grado di eleggere i 3 giudici delle leggi (su 15) che da molti mesi mancano all’appello del plenum della Consulta.
L’impasse deriva dallo schema di gioco adottato. In un Parlamento tripolare (Pd, M5S, FI) nessuno dei candidati previsti dal Tridente della maggioranza e di Forza Italia rappresenta il blocco grillino che, dunque, corre solitario con il professor Franco Modugno (stimato costituzionalista e professore emerito della Sapienza di Roma). Per cui oggi i partiti dell’asse del Nazareno ripropongono gli stessi nomi che mercoledì scorso si sono fermati sotto l’asticella dei 571 voti necessari. Il Pd insiste con il professor Augusto Barbera (ex parlamentare dei Ds e costituzionalista sulla breccia da molti decenni) che ha ottenuto 536 voti; Alleanza popolare di Alfano continua a sponsorizzare il professore Giovanni Pitruzzella (presidente dell’Autorità per la concorrenza) che è a quota 492 voti; Forza Italia, con molti mal di pancia interni, non rinuncia a Francesco Paolo Sisto (deputato e principe del foro a Bari) che ha ottenuto 511 voti.
Il tratto che unisce i tre candidati del Nazareno è sicuramente l’occhio di riguardo che, ciascuno a modo suo, fin qui hanno avuto per l’Italicum: la legge elettorale maggioritaria varata in primavera con la firma del premier Renzi e del ministro Boschi, che la Consulta dovrà passare al setaccio del «controllo preventivo di costituzionalità» probabilmente entro un anno mezzo.
Fin dal 1983, quando partecipò alla commissione Bozzi, Barbera va elogiando in giro per università e convegni scientifici la bontà di una legge elettorale maggioritaria senza preferenze (introdotte solo alla fine nell’Italicum) e il ridimensionamento del ruolo del Senato. Alla vigilia della ventinovesima votazione, Barbera si schermisce. E si limita a una mezza frase di circostanza: «Io la Corte non l’ho cercata ma quando ho ricevuto la proposta non ho potuto tirarmi indietro. La Consulta per un costituzionalista è il massimo dell’onore».
Sul tasso di «renzismo» di Barbera, però, dice la sua il costituzionalista Carlo Fusaro («Piuttosto è Renzi che si è adeguato alle idee di Barbera») che viene stracitato in Transatlantico da Peppino Calderisi (ex deputato di FI oggi spin doctor di Alfano).
Il presidente Sisto attende il voto con fatalismo («Vedremo, siamo ottimisti») dopo aver condotto in porto, come presidente della commissione Affari costituzionali, l’Italicum e in parte anche la riforma del Senato: c’è da dire però che l’Italicum 2.0, quello col premio al partito e non più alla coalizione, a Sisto non è piaciuto. Giovanni Pitruzzella, anche lui favorevole alla legge maggioritaria, è stato investito da una vecchia storia giudiziaria siciliana per un arbitrato tra università che il pm avrebbe voluto archiviare due volte e che tra soli 3 giorni passerà al vaglio del rinvio a giudizio del gip.
Ecco, il tridente Barbera-Pitruzzella-Sisto — concordato da Renzi, Alfano e Berlusconi — rischia di non farcela anche oggi: tanto che i grillini, con Fabrizio Toninelli, parlano di «soldati pro Italicum mascherati da giudici pronti a dichiarare costituzionale la legge elettorale». Così, senza l’accordo col M5S, al Tridente servirebbero i 34 voti della Lega (scheda bianca) mancanti perché il Carroccio chiede un posto al Csm dei magistrati amministrativi per il professore di diritto Maurizio Leo; servirebbero i 56 voti convogliati da Lorenzo Dellai (Per l’Italia) fuori dal patto di maggioranza su Gaetano Piepoli (deputato centrista e stimato docente di Diritto privato a Bari): «Per consolidare alla Corte la tradizione cattolico-democratica del compianto presidente Leopoldo Elia», dice Dellai. Che conferma il voto a Piepoli e a Barbera. Servirebbe infine capire di chi sono i 44 voti dispersi, le 83 bianche e le 36 nulle di mercoledì scorso. «Purtroppo — ammette Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato — si è politicizzato il voto segreto che invece nasce come garanzia». Nel Pd, infatti, c’è chi preferirebbe il professor Massimo Luciani a Berbera ma la posizione è minoritaria. Il bersaniano Miguel Gotor giura di non aver tradito il Tridente ma poi spiega: «In mancanza di accordo, l’Aula col voto segreto può trasformarsi in una fornace». Fa meglio il veterano Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto: «Col voto segreto più della politica può la psicanalisi...».