venerdì 18 dicembre 2015

Corriere 18.12.15
C’è un accordo (finalmente) La Libia potrà ripartire da qui?
di Maurizio Caprara


Lunghi negoziati sollecitati dall’Onu e auspicati da anni dalla diplomazia e dalla Difesa italiane. Lunghi negoziati che hanno ricevuto una spinta domenica scorsa dalla conferenza internazionale sulla Libia riunita a Roma hanno prodotto il potenziale embrione di un governo libico: un consiglio presidenziale guidato da un uomo d’affari tripolino con trascorsi negli Stati Uniti e residente al Cairo, Faiz al Siraj, e tre vicepresidenti (uno per la Cirenaica, uno per la Tripolitania e uno per il Fezzan). Firmata a Skhirat, Marocco, tra abbracci fra alcuni nemici e canti, l’intesa sottoscritta da parlamentari, capi di fazioni, tribù e municipalità ha raccolto apprezzamenti dal Dipartimento di Stato americano, dall’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza europea Federica Mogherini. In Italia, dai presidenti della Repubblica Mattarella, della Camera Boldrini e del Consiglio Renzi, ma il primo ha constatato che si tratta di una «tappa», la seconda di un «passo», il terzo di «inizio».
Senza clamore, la diplomazia e la Difesa italiane domandano da mesi a partner europei, alleati e Stati arabi con quali contributi aiuterebbero a ricostruire la sicurezza della Libia, mai tornata del tutto dopo che nel 2011 la fine del regime di Muammar el Gheddafi tolse i freni a scontri tra fazioni. La ricognizione serve per quando sarà l’ora di sorreggere un governo libico di unità nazionale o con basi ampie. Da ieri il momento potrebbe essere meno lontano, benché sul percorso per raggiungerlo restino tanti gli ostacoli e le incognite.
Lunghi negoziati sollecitati dall’Onu che hanno ricevuto una spinta domenica scorsa dalla conferenza internazionale sulla Libia riunita a Roma hanno prodotto il potenziale embrione di un governo libico: un consiglio presidenziale guidato da un uomo d’affari tripolino con trascorsi negli Stati Uniti e residente al Cairo, Faiz al Siraj, e tre vicepresidenti (uno per la Cirenaica, uno per la Tripolitania e uno per il Fezzan). Firmata a Skhirat, Marocco, tra abbracci fra alcuni nemici e canti, l’intesa sottoscritta da parlamentari, capi di fazioni, tribù e municipalità ha raccolto apprezzamenti dal Dipartimento di Stato americano, dall’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza europea Federica Mogherini. In Italia, dai presidenti della Repubblica Sergio Mattarella, della Camera Laura Boldrini e del Consiglio Matteo Renzi, ma il primo ha constatato che si tratta di una «tappa», la seconda di un «passo», il terzo di «inizio».
Se da una parte l’accordo avrebbe ottenuto i «sì» di oltre 90 membri del Parlamento di Tripoli (quello appoggiato da Turchia e Qatar) e dal rivale Parlamento di Tobruk (sostenuto da Egitto ed Emirati) il consenso di 27 componenti presenti a Skhirat più 42 firme su un documento, i presidenti delle due assemblee non lo hanno accettato.
Affinché la riconciliazione proceda, oltre alla formazione completa del nuovo governo che non è prevista prima di un mese occorre altro. Mentre militari britannici, francesi e non solo sarebbero già in Libia verso i confini meridionali, l’arrivo di forze internazionali per mantenere una futura pace comporta l’avallo dell’Onu. Una bozza di risoluzione potrebbe essere portata in Consiglio di sicurezza lunedì, dare consacrazione alla gestazione di un governo libico delineata ieri in Marocco e negare riconoscimenti ad altre autorità in Libia. A una seconda risoluzione, in seguito e su richiesta libica, si affiderebbe la cornice nella quale agirebbero militari stranieri.
Dai contatti avuti finora con l’Italia, risulta che le fazioni libiche non vogliono dall’estero truppe in forze sul proprio suolo. Preferirebbero istruttori per addestrare forze armate e polizia, armi ed eventualmente personale per vigilare su aeroporti o obiettivi stranieri. Le armi, legalmente, sono adesso la richiesta meno facile da soddisfare.
Il Times ha riferito che Londra manderebbe in Libia fino a mille militari per una missione a guida italiana. Il nostro Paese ieri aveva a Skhirat oltre all’inviato del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, Giorgio Starace, il ministro in persona. Partito poi per New York, sede dell’Onu. E l’Onu non si occupa solo di Siria.