sabato 12 dicembre 2015

Corriere 12.12.15
i voli di matisse L’idea dei papiers Non tutto è finito. Il colore non finisce. Deve cominciare dal colore, fare il contrario
il carosello di vite dell’artista che fu capace di trasformare ogni dolore in una resurrezione
di Giovanni Nontanaro


Quanto tempo è passato. Più di cinquant’anni. Tutto era cominciato così, in fondo, e forse doveva finire allo stesso modo. Di nuovo inchiodato a un letto. Di nuovo malato, incapace di muoversi. O forse no, è tutto diverso. Allora era solo un ragazzino riflessivo, che si incantava a guardare le cose, e più di tutto i piccioni, come raccontava la madre alle amiche; un borghese di provincia, destinato a una solida, rigida carriera nei tribunali. Ma, all’improvviso, un’appendicite fulminante, due anni di convalescenza. In quel periodo era cominciato tutto; sua madre, che faceva cappelli e dipingeva porcellane, gli aveva portato i colori, tutti in una scatola. Quanto si era arrabbiato, il padre, che lasciasse la certezza delle corti per l’imprevisto della pittura!
A desso, invece, dopo cinquant’anni, è tutto finito. Un cancro all’intestino, un’operazione riuscita, ma troppe complicazioni. Non più di sei mesi di vita, il verdetto dei medici. Henri Matisse si guarda intorno. La stanza d’albergo è bella, profumata, diversa dalla clinica di Lione dove gli hanno fatto le cicatrici. L’Excelsior Hotel Regina è bianco, elegante. Le finestre sono grandi. Oltre, c’è la collina di Comiez, la sua città di Nizza, scelta per la vita, il Mediterraneo. Ma, da lì, dal letto, si vede solo il cielo.
È il 1941, la guerra sta vincendo, è arrivata fino al Sud, c’è il governo di Vichy, la Francia non c’è più. Quante cose non ci sono più. Non c’è più Amélie, hanno divorziato da poco, dopo 41 anni di matrimonio. E non ci sono più i suoi pennelli, le sue tavolozze, le sue tele; è tutto in un deposito giudiziario, per essere diviso. E nemmeno Marguerite, c’è; la figlia avuta prima del matrimonio si è unita alla resistenza, è in clandestinità, finirà in un campo di concentramento. Sì, viene ogni tanto Lydia Delektorskaya, la siberiana, la ragione del divorzio. L’aveva presa per accudire Amélie, ma aveva finito per fare un pasticcio, per farla diventare la sua modella e chissà cos’altro. Gliel’aveva detto, a sua moglie, che lui avrebbe amato sempre la pittura più di lei! E anche le donne. E così c’è anche Monique Bourgeois, che ha risposto al suo annuncio per trovare un’infermiera «giovane e bella»; le caratteristiche corrispondono, anche se la ragazza, perlopiù, prega e gli parla di Dio. È che la stanza è vuota, e sono più le cose che non ci sono di quelle che ci sono ancora. Non ci sono più le sue gambe, le mani. Non sono più le stesse. Potrà ancora dipingere le donne? E la musica, la gioia, le stanze rosse, il lusso, la voluttà, i cappelli? Se mai si alzerà dal letto, sarà in sedia a rotelle, non potrà stare davanti a un cavalletto.
Altro che selvaggio, «fauve», come lo chiamavano in gioventù! Un povero invalido. Ma, forse, non tutto è finito. Il colore non finisce. Deve cominciare dal colore. Fare il contrario. Se fa fatica a tenere in mano un pennello, se non può fare un contorno, deve fare come gli scultori. Partire dalla materia, e togliere. Ecco l’idea: grandi fogli colorati da ritagliare. Se li farà passare dai suoi assistenti, e se li terrà intorno, sparsi, finché non capirà cosa devono diventare: un occhio, una chitarra, un seno, una foglia. E poco importa se sarà chiuso in una stanza, in quella stanza, in altre stanze. I medici avevano torto. Matisse vivrà altri tredici anni, felici, esplosi di gioia, pieni di colori fatti con le forbici, di progetti nuovi, come la cappella del Rosario che farà per Monique, nel frattempo divenuta suora domenicana.
Forse il più bello dei suoi «papiers gouachés découpés» è del 1943. È La caduta di Icaro . C’è solo un uomo nero, con un cuore rosso, tondo come un pugno, in mezzo a un cielo di stelle che possono anche essere bombe, esplosioni, di quella guerra che non finiva, di quella vita che non finiva, che non dava riposo. Non ci sono le ali, ma braccia larghe, mai disperate. È solo un cadere. O, forse, no. L’uomo, ogni uomo, è in piedi, dritto, forse scende, forse sale ancora, o galleggia nell’infinito, torna alle stelle. È destinato al cielo, a starci dentro. Anche se è aggrappato a terra, anche se lo spostano delle ruote di metallo. È una bella suite, grande, quella dell’Hotel Regina, in fondo ci si sta bene.
Per Matisse, tutto comincia, ricomincia da lì. Da un altro letto. Da quelle finestre da cui, anche se uno non può alzarsi, si vedono i piccioni, e tutte le cose che volano.
Giovanni Montanaro (1983) è avvocato e scrittore. Per Feltrinelli ha scritto Tutti i colori del mondo (2012), premio Selezione Campiello, e Tommaso sa le stelle (2014)