sabato 12 dicembre 2015

Corriere 12.12.15
Il duello al sole con Picasso La regia è di Gertrude Stein Nel salotto parigino L’intellettuale gestì abilmente la rivalità. Finendo per stimolare il genio di entrambi
di Roberta Scorranese


Un gran freddo. La Rive Gauche che si quieta in un’alba brumosa di primo Novecento. Leo è di là che dorme. È in quest’ora solitaria che Gertrude Stein guarda il suo salotto in disordine e riflette: Braque è stato di umor nero tutta la sera, Matisse non ha detto una parola, un po’ tutti sono stati sopraffatti da quel ventiquattrenne di Malaga. Quel Picasso, piccolo, scuro e un po’ spaccone che va dicendo «Zitti tutti, sto inventando l’arte moderna».
Bene. Questa casa affollata in rue de Fleurus 27, questo caos fatto di parole, polemiche, alcol e fumo, rivalità eccellenti, questo mondo la contiene. È un personalissimo teatro che Gertrude aveva messo in piedi nel 1904, quando, trentenne, aveva lasciato San Francisco, gli studi pigri di medicina, la ricchezza di famiglia e aveva raggiunto il fratello Leo a Parigi. Com’è diverso Leo, pensa Gertrude sedendo alla scrivania. Lui, allievo di Bernard Berenson, nel 1902 ha comprato il suo primo Cézanne. E adesso segue con attenzione quel sempre meno silenzioso duello che ogni sabato sera, in rue de Fleurus 27, si consuma tra tappeti e stampe antiche: Matisse contro Picasso. No, anzi, riflette Gertrude: è Picasso che provoca, punzecchia (stimola?) Matisse.
Matisse, un gran signore: 36 anni, felicemente sposato, ha successo, sensibilità, il rigore della nordica Piccardia. Gertrude si guarda intorno: questa casa è piena di suoi quadri, il Fauvismo è una sua creatura. Che cosa pensa di fare quello spagnolo? Eppure quel Picasso le ha fatto un ritratto e quando lei gli ha detto che non le rassomiglia, lui non si è scomposto: «Non preoccuparti, sarai tu che presto comincerai ad assomigliargli».
Bene. Le piace tutto questo. Lei, Gertrude, non ama le rassicurazioni borghesi. Salvo quando pensa a Alice Babette Toklas: un’americana bruna, segaligna, intelligente, che si è appena trasferita a Parigi. Vorrebbe chiederle, magari con indifferenza, servendo il tè: «Vuoi sposarmi?» (lo farà: formeranno una delle prime serene, fedeli coppie apertamente lesbiche della storia).
E ben nascosto in un cassetto tiene un romanzo all’epoca impresentabile: la storia di un triangolo amoroso al femminile, da lei, peraltro, vissuto in prima persona all’università. Per il resto, «Gertrude è Gertrude è Gertrude» (sì, la questione della tripla rosa è sua, emblema dell’identità inconfutabile delle cose): ama sparigliare, dividere, nutrire un disordine che in realtà è orchestrato da una regia invisibile — la sua. Chissà, pensa, potrei far capire a Matisse che, in fondo, quel ritratto di Picasso mi è piaciuto.
Lo farà. E Matisse comincerà a cercare nuovi linguaggi, a studiare più a fondo Cézanne e l’arte africana: come estrarre dalle figure quella poesia scomposta e precaria che tanto rassomiglia al Novecento? Nel 1907 trova la chiave, peraltro bene illustrata nella mostra torinese: un’odalisca ( Nu bleu, souvenir de Biskra ). Una sensualità meno rarefatta, con i contorni definiti, la posa lasciva. Un timido affaccio verso quel mondo ostile che in fondo lui non voleva vedere.
Picasso risponde con la violenza dell’avanguardia: Les Demoiselles d’Avignon , dello stesso anno, sono la contraerea cubista con cui colpisce la «vecchia» ricerca formale. È come se, in quei sabato sera, tra i tappeti, i fumi e l’alcol lo spagnolo scuotesse il francese: «Ma come fai a non vedere che il mondo è già oltre — pare dirgli —? Che è ora di cambiare?». Ecco, forse Gertrude aveva capito questo: che quel duello era cruciale nell’arte moderna e che avrebbe trasformato per sempre i connotati non solo della pittura ma di un intero secolo (oltre che del conto in banca di famiglia: litigi futuri a parte, gli Stein, compreso l’altro fratello Michael, diventeranno tra i massimi collezionisti del ‘900).
Matisse ribatterà tempo dopo. Con la presenza-assenza che lascerà aleggiare dopo la sua morte sulle opere del rivale. Picasso dirà: «Lui mi ha lasciato in eredità le odalische. È tutto quello che so dell’Oriente, pur non essendoci mai stato». Forse è questa la lezione del borghese Matisse: una rivoluzione è una rivoluzione è una rivoluzione .