sabato 12 dicembre 2015

Corriere 12.12.15
La strategia sui moderati assediata dalle incognite
di Massimo Franco


Una sinistra ben piantata dentro il governo dell’Italia. Di più: quasi governativa per antonomasia. Decisa ad uscire dalla vecchia identità del movimento di lotta. Interclassista e non classista: tendenzialmente, il nuovo partito-Stato. Nei contorni che il vertice del Partito democratico si sta dando, non è chiaro quanto ci sia di studiato e quanto di obbligato. Ma di certo, la deriva radicale del centrodestra, l’accentuazione del populismo, la sfida di sistema del Movimento 5 stelle portano Matteo Renzi a optare quasi di rimbalzo per una posizione centrale, se non centrista; e a usare la postazione di Palazzo Chigi per porsi come referente del mondo moderato. C’è da chiedersi quali conseguenze l’ evoluzione avrà nella sinistra tradizionale; e quanti nel Pd siano pronti a riconoscersi in una forza che ripensa le coordinate culturali prima che politiche. L’impressione è che nello schema renziano non ci sia una contrapposizione dettata dalle appartenenze. Si coglie piuttosto la volontà di ridisegnare unilateralmente il campo del «noi» e del «loro» su altre basi. In questa fase, il vero discrimine sembra il referendum sulle riforme istituzionali previsto nell’autunno del 2016. Il tentativo del premier è di imporre agli avversari la propria lettura: proporre una sorta di coalizione della stabilità e delle riforme, imperniata su Renzi; e di opporla a quello che viene raffigurato da Palazzo Chigi come un agglomerato di forze antisistema e immobiliste. Dentro vengono infilati Lega, M5S, pezzi di FI e della sinistra che si ribella. L’obiettivo è di presentarsi come nuova diga contro lo sfascio, come un tempo la Dc. L’ipotesi nasce da un’analisi cruda e sfiduciata della sinistra italiana.Renzi ritiene di avere non provocato ma rivelato la crisi del Pd e del suo blocco sociale. E ne trae le conseguenze. Per lui, i custodi della tradizione Dem sono nostalgici di un tempo e di interessi tramontati. E quando dà l’ostracismo alle correnti, conferma la volontà di contare su un partito uniforme e docile. Ma avrebbe bisogno di un Pd pacificato e di una vera ripresa economica, entrambi mancanti: basta misurare le reazioni dure della minoranza del Pd a qualunque accenno al «partito della Nazione». I dati altalenanti dell’Istat sono la fotografia di una situazione in bilico. E il rapporto almeno sfilacciato tra il governo di Roma e le istituzioni di Bruxelles rappresenta una contraddizione per l’immagine rassicurante che Renzi vuole offrire al Paese. Ci sono troppi segnali di irrigidimento dell’Ue nei confronti dell’Italia; e tutti insieme. Ilva, banche, immigrati, Legge di stabilità: sono indizi di un logoramento rischioso. Il pericolo è doppio: non pesare ai tavoli continentali dove si decide; e favorire sul piano interno proprio i partiti che hanno l’antieuropeismo come bussola.