giovedì 10 dicembre 2015

Corriere 10.12.15
Leggi votate e disconosciute
Gli inutili ripensamenti
di Francesco Giavazzi e Daniele Manca


Le regole Ue che impongono perdite agli azionisti delle banche e ai possessori di obbligazioni subordinate sono state votate dalla maggioranza dei deputati italiani a Strasburgo. L a vicenda dei salvataggi bancari, la corsa ad arginare gli effetti sui possessori di obbligazioni subordinate, arrampicandosi sugli specchi per non violare le regole Ue, dimostra una volta di più la leggerezza con cui per vent’anni la politica ha gestito la nostra appartenenza all’Europa. Tutti presi nel dibattito politico a immaginare un’Europa da rivendere ai propri elettori come vessatrice e produttrice di regole assurde, scopriamo invece che altri Paesi sono stati più pragmatici. In Germania, per salvare le banche, si sono usate risorse pubbliche tra i 240 e i 270 miliardi. In Italia operazioni molto meno costose sono finite sotto la puntigliosa lente di Bruxelles. Cosa ieri peraltro criticata persino dalla Banca d’Italia che ha lamentato la diversità di trattamento. Ma sarebbe bene non scordare che le regole sul bail in che oggi impongono perdite agli azionisti delle banche e ai possessori di obbligazioni subordinate sono state votate dalla maggioranza dei deputati italiani nel Parlamento Ue. Questo dovrebbe far pensare seriamente a che tipo di classe politica si è mandata nel Parlamento Ue in questi anni. Solo due settimane fa il governo ha negoziato con Bruxelles, e poi varato con un decreto, norme che ora vuole integrare fuori tempo massimo. Non era meglio pensarci prima? Non sarebbe stato opportuno, durante il dibattito europeo che ha prodotto le regole sul bail in, ricordare ai i cittadini che le obbligazioni bancarie non sono titoli privi di rischio? Non avrebbero dovuto farlo quegli eletti che a Bruxelles le hanno approvate? E che oggi in cerca di consenso paiono rinnegare? E’ questa corsa al localismo che avvantaggia forze come il Front National e il Movimento 5 Stelle. L’idea che rinchiudendosi prima nei propri confini nazionali, poi regionali e infine cittadini, si possa fare fronte ad un mondo che vuole soltanto invaderci e toglierci quel benessere che a fatica ci siamo conquistati. Ma l’errore è esattamente questo: pensare che quel benessere derivi da quanto costruito all’interno dei nostri confini e non grazie all’apertura. Ministri importanti nel corso degli anni hanno ironizzato sull’Europa che imponeva misure a cipolle e altri vegetali. E quanti contro le regole che ci imponevano rigore e rispetto delle leggi? Certo, solleticando una supposta naturale tendenza nazionale al non rispetto delle norme si otteneva e si ottiene facile consenso. Che ha però, come oggi si vede, un prezzo.