domenica 8 novembre 2015

Repubblica 8.11.15
Lo scenario.
Ciò che accadrà nei prossimi anni in questa zona sarà decisivo per gli equilibri del mondo intero. L’ascesa degli eredi di Mao è inarrestabile: sottovalutarla è sbagliato
Quel braccio di ferro per il controllo del mare così Pechino punta a conquistare il Pacifico
di Simon Winchester


Il pericoloso braccio di ferro in corso nel Mar della Cina Meridionale, con navi da guerra americane che passano provocatoriamente vicine a un gruppetto di isole di cui la Cina reclama il possesso, è solo l’inizio di una contesa che promette di essere lunga ed epica.
Un piano dettagliato, partorito a Pechino decenni fa, è ora in corso di attuazione: lo scopo è dimostrare che l’Oceano Pacifico non è più un immenso lago dominato dagli americani, ma un oceano che appartiene al mondo, nelle cui acque nessuna nazione e nessuna marina militare possono esercitare il monopolio del potere. L’at-teggiamento che terranno gli Stati Uniti di fronte alle mosse cinesi contribuirà a decidere la serenità futura del pianeta.
La marina cinese vuole affermare quello che Pechino considera un suo diritto, cioè dispiegare le proprie forze più o meno a piacimento per tutto il Pacifico. In altre parole, vuole comportarsi più o meno come si sono comportati gli Stati Uniti dalla fine della Seconda guerra mondiale.
La chiusura delle basi americane di Subic Bay e Clark Field nelle Filippine, all’inizio degli anni ‘90, ha creato il vuoto militare iniziale nel Mar della Cina Meridionale, che i cinesi sono stati ben lieti di riempire. E lo hanno fatto impadronendosi di soppiatto di decine di isolotti e atolli pressoché invisibili.
Le annessioni delle isole sono state perpetrate con astuzia ammirevole. Ogni mossa è stato eseguita singolarmente – qui trasportando via nave una manciata di bulldozer, lì costruendo una cupola radar, qui uno scivolo di cemento, lì un faro – in modo da non dare l’impressione che si trattasse di una minaccia.
Nessuna di queste annessioni ha indotto una risposta militare da parte degli Stati Uniti. Era già tardi quando il Pentagono ha cominciato a rendersi conto che il Mar della Cina Meridionale era diventato un patchwork di lotti di terreno rivendicati dalla Cina. Era in gioco la supremazia americana nel Pacifico occidentale. Il libero passaggio delle navi mercantili, a lungo garantito dalla tranquillizzante presenza americana, era potenzialmente a rischio.
Da qui nasce la reazione a cui assistiamo adesso, pericolosamente azzardata: il viaggio del Lassen, un cacciatorpediniere lanciamissili, seguito dalla convocazione dell’ambasciatore americano e dalle allarmanti dichiarazioni delle autorità cinesi, che dicono di essere pronte a una guerra se sarà necessario. Potrebbe essere solo spavalderia diplomatica, ma potrebbe essere anche la conseguenza dell’inerzia di Washington.
Le tensioni sul Mar della Cina Meridionale sono solo l’inizio di una partita che si preannuncia molto lunga. Entro il 2049, quando ricorrerà il centenario della fondazione della Repubblica popolare, la Cina punta a realizzare una serie di obbiettivi ambiziosi nel Pacifico: elemento centrale della nuova strategia è la costruzione di tre bastioni immaginari, catene di isole del Pacifico scollegate fra loro, che nella visione di Pechino garantirebbero una protezione generale alla madrepatria e le consentirebbero di estendere la propria influenza.
La più vicina alla costa cinese, la cosiddetta «prima catena di isole», è una riga spezzettata che scende dal Giappone fino a Giava; la seconda si snoda dalla Kamchatka alla Papua Nuova Guinea e la terza dalle Aleutine alle Hawaii e giù fino alla Nuova Zelanda. Il piano della Cina è accrescere la sua presenza marittima concentrandola dietro a queste catene protettive, fino a quando, nel 2049, le sue navi saranno diventate una presenza familiare nell’oceano fino a Honolulu.
Di qui al 2020, possiamo aspettarci di vedere flottiglie di navi militari cinesi nelle acque a nord dell’Australia e nel Mar dei Coralli. Di qui al 2040, le navi di Pechino navigheranno nei pressi dell’isola di Midway e di Tonga. Di qui al 2049, con grande significato simbolico, si eserciteranno al largo delle Hawaii, sotto gli occhi del quartier generale della flotta americana del Pacifico, a Pearl Harbor.
Ma sarà davvero una minaccia? I cinesi ribadiscono di no, tuttavia, il geniale (e per metà giapponese) nuovo comandante della flotta americana del Pacifico, l’ammiraglio Harry Harris, ha issato le bandiere da guerra. Questa settimana si è incontrato a Pechino con alti funzionari delle forze armate cinesi e ha detto che Washington intende continuare le sue «operazioni per la libertà di navigazione» e che navi da guerra come il Lassen continueranno a navigare nel Mar della Cina Meridionale impunemente, come dappertutto.
A quale scopo (a parte punzecchiare i cinesi) non è però ben chiaro. Pechino vede questi pattugliamenti come un’azione bellicosa e provocatoria.
Qualunque cosa accada nei prossimi giorni, una cosa è certa. La storia di questa regione colossale ha cominciato a girare. La Cina è in ascesa inarrestabile. È tempo di usare prudenza se non si vuole rischiare di trasformare repentinamente l’Oceano Pacifico in uno specchio d’acqua tutt’altro che pacifico.
(Copyright New York Times News Service - Traduzione di Fabio Galimberti)