sabato 7 novembre 2015

Repubblica 7.11.15
Il virus dell’antipolitica e il rischio autoritario
di Marc Lazar

LA sottile analisi politica delle contraddizioni e delle difficoltà della democrazia italiana che Ilvo Diamanti ci ha offerto nel suo articolo “La controdemocrazia” pubblicato su La Repubblica del 3 novembre potrebbe servire per numerosi altri paesi europei, a cominciare dalla Francia, spesso presentata come un modello politico al quale l’Italia potrebbe ispirarsi.
Ma a che cosa assistiamo oggi sull’altro versante delle Alpi? La disaffezione nei confronti delle istituzioni, dei partiti politici e della classe politica non è mai stata così elevata. Un sondaggio condotto nell’aprile scorso ha messo in luce che soltanto il 9 per cento dei francesi ha fiducia nei partiti, il 26 per cento nei deputati, il 30 per cento nel Senato e il 31 nell’Assemblée Nationale. Per di più, il forte astensionismo e i voti per il Front National dimostrano in maniera eclatante, di votazione in votazione, il baratro che si va scavando tra ciò che in passato si chiamava il “paese reale” e il “paese legale”. Per le presidenziali che si svolgeranno nel 2017, la stragrande maggioranza dei francesi dichiara di non volere come presidente nessuno dei tre potenziali candidati più in vista, François Hollande, Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen. I primi due perché ne hanno già fatto un’esperienza deludente e amara, e la dirigente del Front National perché ai loro occhi continua a mancare di credibilità per poter ricoprire la carica più alta. Tutto ciò equivale a dire che se si andasse alle urne oggi e se fossero loro tre i candidati, gli elettori farebbero una scelta di default. Si tratta di una situazione del tutto nuova nella storia delle elezioni per la presidenza con suffragio universale, la prima delle quali si svolse esattamente cinquant’anni fa. E si tratta di una situazione di rottura rispetto all’idea di fondo che ne ebbe il fondatore della Quinta repubblica, il generale de Gaulle nel 1958.
Il rifiuto nei confronti della classe politica — come, del resto, dell’insieme delle élite, siano esse economiche, sociali, culturali o mediatiche — ha effetti deleteri sul concetto stesso di democrazia. Di conseguenza, in un sondaggio condotto di recente, è stata rivolta agli intervistati una lunga domanda che vale la pena riportare nella sua interezza: “Alcuni pensano che la Francia debba riformarsi in profondità, ma che nessun uomo politico eletto col suffragio universale avrà mai il coraggio di varare tali riforme e che, in tale contesto, sarebbe dunque necessario affidare la direzione del Paese a esperti non eletti che portino a compimento riforme indispensabili per quanto impopolari». Il 67 per cento degli intervistati ha risposto in modo favorevole, più gli intervistati che votano a destra (l’80 per cento dei simpatizzanti dei “repubblicani”, il partito di Sarkozy, e il 76 per cento di chi si sente vicino a Marine Le Pen) che quanti votano a sinistra (anche se il 54 per cento dei simpatizzanti dei socialisti condivide pur sempre questa opinione).
Quando poi chi ha condotto il sondaggio al posto degli esperti ha evocato la possibilità di ricorrere a un «potere politico autoritario, pronto a sbarazzarsi dei meccanismi di controllo democratico esercitato sul governo», il 40 per cento dei francesi si è detto d’accordo, molto più gli intervistati di estrema destra che gli intervistati di destra e di sinistra. In entrambi i casi, ad accettare di buon grado queste soluzioni sono stati i francesi appartenenti a ceti popolari e con un basso livello di istruzione.
Ecco chiaramente, dunque, che al di là delle molteplici differenze che esistono tra Francia e Italia, i due Paesi sono alle prese con sfide democratiche identiche.
Questo punto di vista sulla Francia ha un merito ulteriore per l’Italia, quello di illustrare almeno due dati di fatto molto utili. Disporre di solide istituzioni che permettono al presidente Hollande di governare malgrado la sua impopolarità record e di un sistema elettorale maggioritario su due turni temibilmente efficace per le elezioni presidenziali e le politiche, non mette al riparo dalla crisi della rappresentanza politica. Questi due strumenti non sono equiparabili a vaccini per il virus dell’antipolitica, né costituiscono di per sé validi medicamenti. È dunque indispensabile — ecco la seconda lezione — ricostruire un rapporto di fiducia tra responsabili politici e popolazione. Tale rapporto presuppone partiti completamente rifondati, ripensati, rinnovati, come dice Ilvo Diamanti nel suo articolo, ma anche altri elementi, per esempio una classe politica competente e onesta. Oppure, ancora, leader capaci di indicare un destino, di proporre una visione, di rispondere alle esigenze contraddittorie che si vanno presentando in Francia, in Italia e ovunque in Europa, di una maggiore partecipazione politica, di trasparenza e di autorevolezza. In mancanza di tutto ciò, i cittadini richiederanno senza mezzi termini l’autoritarismo. Già adesso l’85 per cento dei francesi dice di “avvertire il bisogno di un capo che sappia mettere un po’ d’ordine”…
Traduzione di Anna Bissanti