sabato 7 novembre 2015

La Stampa 7.11.15
“Tagliare le pensioni troppo alte è un tema da affrontare”
Il Nobel Deaton: “Ma serve equilibrio tra prestazioni ai giovani e quelle agli anziani La scarsa crescita dell’Italia? In gran parte colpa delle politiche di austerity”
intervista di Alessandro Barbera


Fino a un mese fa ai più non era noto. Non è un amante dei riflettori e non frequenta granché lo star system degli economisti. Al di là dei meriti accademici, i giurati del Nobel l’hanno scelto per aver rimesso al centro del dibattito mondiale il tema della disuguaglianza. Angus Deaton risponde alle domande de La Stampa dalla sua casa di Princeton. Si scusa per la tosse, dialoga con i dubbi dell’economista ma in realtà pensa ai problemi della politica: dice che rendere il mondo meno diseguale non sarebbe poi così difficile, il punto è che alla gente interessa poco, soprattutto negli Stati Uniti.
Professor Deaton, le immagini dei barconi stipati di migranti sulle coste del Mediterraneo somigliano a un viaggio nel tempo, all’epoca in cui suo padre viveva povero nello Yorkshire, e dall’Europa si partiva per cercare fortuna in America. Il mondo di oggi è più ingiusto?
«No. Molti nel corso della storia recente hanno realizzato quella che io chiamo la grande fuga dalla povertà, allo stesso tempo ci sono milioni di persone che vivono ancora in condizioni terribili. Ma sono convinto che il mondo sia più eguale di 50 anni fa».
Lei scrive che nei Paesi sviluppati le persone più ricche usano la propria influenza per spingere i politici a fare i loro interessi piuttosto che occuparsi dei meno abbienti. Siamo di fronte ad una crisi irreversibile delle democrazie?
«Non parlerei di crisi irreversibile, ma l’eccesso di diseguaglianza può essere una minaccia seria alla democrazia. La minaccia è più forte negli Stati Uniti, ma lo è anche in Europa».
Nel corso del Novecento la vera minaccia alla libertà è stata l’utopia dell’egualitarismo comunista. Non crede che se siamo diseguali in fondo siamo anche più liberi?
«Ma esiste anche la qualità della libertà, così come esistono forme di democrazia in cui contano solo alcune persone. Il libero mercato è molto importante, ma l’argomento per il quale sia di per sé moralmente giustificato non è corretto. È uno strumento potente per muovere le persone, per renderle più ricche, è l’auto che gli permette di fare una lunga strada verso il benessere, ma deve essere regolato».
L’economista Larry Summers è convinto che il mondo attraversa un’epoca di stagnazione globale. Angela Merkel dice spesso che l’Europa ha il 7 per cento della popolazione globale, produce un quarto della ricchezza, consuma metà della spesa per welfare. È una delle ragioni per cui l’America cresce più dell’Europa?
«E’ possibile che nel lungo termine una forte rete di regole e di sicurezza sociale possano rallentare la crescita. Non ne sono convinto, ma questa ipotesi va presa in considerazione. Ciò detto, non è la ragione che spiega ciò che sta accadendo. Oggi, in Italia e non solo, la scarsa crescita la si deve in gran parte alle scelte politiche di austerità successive alla grande recessione. Tornando al ragionamento di prima: troppa uguaglianza è un male, ma lo è anche l’eccesso di disuguaglianza. Occorre decidere quale sia l’equilibrio che vogliamo raggiungere. Le scelte della politica servono a questo».
Parte dei problemi dell’Europa però hanno a che fare con l’enorme montagna di debiti accumulati, anche a causa delle crisi bancarie del 2007-2008. La Grecia, ad esempio: lei crede inevitabile la soluzione di un taglio di quel debito?
«Non c’è alcun dubbio che i greci non saranno mai in grado di ripagarlo, perché è ad un livello del tutto insostenibile. Prima o poi dovrà essere tagliato».
A proposito di welfare e di equità: in questi giorni in Italia si dibatte molto la proposta del presidente Inps Tito Boeri, che chiede di ridurre l’assegno pensionistico a chi riceve trattamenti troppo generosi rispetto ai contributi versati. Lei è d’accordo?
«Temi del genere dovrebbero essere sempre in agenda ovunque, ma ogni caso fa storia a sé: tutto dipende dall’equilibrio fra le prestazioni concesse ai più giovani e ai più anziani».
Lei sostiene anche che la forbice sociale, le differenze fra ricchi e poveri oggi sono più pronunciate all’interno dei confini nazionali. A cosa attribuisce questo fenomeno?
«Le ragioni sono molte, ma in modo particolare lo si deve alla globalizzazione e all’innovazione tecnologica, che lasciano indietro le persone senza istruzione universitaria. Pesa il declino dei sindacati, un fenomeno che probabilmente ha reso gli Stati Uniti un Paese più efficiente, ma anche più disuguale. E pesa il fatto che il mondo è pieno di star internazionali dello sport, dello spettacolo, e d’impresa con redditi altissimi».
Propone di alzare le tasse a questi ultimi?
«Le soluzioni per rendere il mondo meno disuguale sono note e non sono nemmeno difficili da attuare. Il problema oggi è se esistono le condizioni politiche per farlo. Certamente negli Stati Uniti queste condizioni non ci sono, perché alla gente non interessa».
Leggo dal suo libro: «I miei colleghi pensano che le persone stanno meglio se hanno un po’ di soldi in più nelle tasche. Se poi alcuni ne hanno molti di più, altri ne ricevono meno o per nulla, ciò é sufficiente a rendere il mondo un posto migliore». C’è chi propone di rinunciare al Pil e di introdurre un indice del benessere. Che ne pensa?
«Non possiamo abbandonare il Pil, è un indicatore troppo importante. Un indice del benessere potrebbe dare un contributo a migliori valutazioni, ma introdurre uno standard non è semplice. Ciò che conta è avere chiaro il principio: al di là della ricchezza prodotta nella vita delle persone ci sono altre cose che non andrebbero trascurate, come ad esempio il loro stato di salute. Di questo gli economisti dovrebbero tenere conto».