sabato 7 novembre 2015

Corriere 7.11.15
Cambiare sesso? Si può anche senza chirurgo
di Carlo Rimini
Ordinario di diritto privato all’Università di Milano


La Corte Costituzionale ha definitivamente affermato che non è necessario un intervento chirurgico perché possa essere attribuito ad una persona un sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita.
La rettificazione di sesso può essere quindi disposta dal tribunale anche se una persona non ha cambiato con un intervento i suoi «caratteri sessuali primari», che rimangono quelli propri del sesso opposto a quello acquisito. La Corte fissa però qualche limite che può aiutare a superare un certo disorientamento.
Per cercare di capire, partiamo dalle norme che si applicano alla rettificazione dell’attribuzione di sesso. La legge n. 164 del 1982 afferma che il sesso attribuito ad una persona al momento della nascita può essere cambiato solo se il tribunale accerta che sono intervenute «modificazioni dei suoi caratteri sessuali». È dunque necessaria una modificazione oggettiva degli elementi che, nell’esperienza comune, indicano a quale sesso appartiene una persona. Tuttavia, il d. legisl. n. 150 del 2011 ha introdotto una precisazione: «Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare tramite trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza». Il fatto che il legislatore utilizzi la congiunzione “quando”, significa – secondo la Corte Costituzionale – che il giudice è libero di ritenere non necessario il trattamento chirurgico pur considerando modificati i caratteri sessuali di una persona. Dunque – conclude la Corte – il trattamento chirurgico «costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali». La sentenza rammenta che i supremi valori costituzionali impongono di rimettere al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che compongono l’identità di genere.
E quindi? È tutto possibile? Basta che un uomo dica di sentirsi una donna (e viceversa) per ottenere la rettificazione di sesso? Se è un «percorso di transizione» affidato al singolo, egli può poi percorrere a ritroso la strada che definisce la sua «identità di genere»? Può insomma cambiare idea? No. Questo è il limite posto dalla Corte costituzionale: è «ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo».
Proviamo a tirare le fila del ragionamento: non è necessario un intervento chirurgico che incida sugli organi sessuali di una persona, ma il giudice deve comunque accertare una radicale, profonda, irreversibile, modificazione dei suoi caratteri sessuali. Viene da chiedersi se il giudice debba anche accertare che la persona ha definitivamente perso la capacità di procreare propria del sesso attribuito alla nascita. La Corte non risponde a questa domanda che apre prospettive piuttosto bizzarre.