mercoledì 4 novembre 2015

Repubblica 4.11.15
Perché l’Iran ha paura delle donne?
di Shirin Ebadi, Narges Mohammadi


SONO anni che le donne iraniane stanno cercando di ottenere pari diritti pagando un prezzo molto alto. Ma il regime al potere ha sempre temporeggiato nel riconoscere uguali diritti per le donne e alcune istituzioni e autorità hanno persino difeso esplicitamente le proprie posizioni discriminatorie contro le donne presentando diverse giustificazioni.
Il regime iraniano non considera i diritti delle donne pari a quelli degli uomini e, nel giustificare le proprie politiche discriminatorie, ritiene che le donne siano incapaci e prive delle necessarie competenze. Ad esempio, secondo il codice penale islamico approvato dopo la Rivoluzione del 1979, la vita di una donna vale la metà della vita di un uomo. Ciò significa che se un fratello ed una sorella sono vittime di un’aggressione o di un incidente stradale, il risarcimento pagato all’uomo è il doppio di quello pagato alla donna. In tribunale la testimonianza di due donne vale come quella di un uomo. Un uomo può avere contemporaneamente quattro mogli. E molte altre leggi discriminatorie. Porre limiti alle donne nello scegliere gli studi accademici, non riconoscere le donne all’altezza di fare il magistrato, negare l’idoneità a quelle che intendono candidarsi per le presidenziali, e altri casi ancora, vengono motivati con la scusa dell’incapacità e della fragilità fisica e mentale delle donne.
Ora, in un sistema dove alla donna viene negata la parità di diritti per la sua presunta incapacità, arretratezza ed inferiorità, vediamo il punto di vista del regime nell’applicare le sanzioni penali: considera le donne fisicamente e mentalmente inferiori o no? In un sistema giuridico dove la donna è inferiore all’uomo, le sue responsabilità sono invece maggiori. Secondo il codice penale islamico, l’età della responsabilità penale per le femmine è 9 anni, per i maschi 15 anni. La responsabilità penale delle ragazze comincia 6 anni prima di quella dei maschi e esse devono affrontare le punizioni come un adulto.
Nei tribunali le donne sono trattate con maggiore severità. I processi e le pene pesanti inflitte alle donne attiviste socio- politiche rivelano la politica di “due pesi e due misure” applicata a danno delle donne. I tribunali iraniani, nell’infliggere pene severe alle attiviste socio- politiche, non soltanto non considerano le donne più fragili fisicamente e mentalmente rispetto ai loro compagni attivisti maschi, ma talvolta le condannano a pene più pesanti e di solito hanno un atteggiamento discriminatorio nel creare condizioni carcerarie più pesanti e insopportabili. Ad esempio, Zeinab Jalalian, una ragazza che ora si trova in carcere, era stata condannata all’ergastolo per aver sostenuto un gruppo di curdi indipendentisti. Bahareh Hedayat è un altro esempio: rappresentante degli studenti, arrestata durante la prima settimana della sua luna di miele, è stata condannata a sei anni di reclusione in un processo iniquo e, dopo aver scontato la pena, il tribunale ha emesso un’altra sentenza in base alla quale deve rimanere in carcere altri due anni. Sono numerosi gli esempi come questi. Ma qual è il motivo di tale accanimento e oppressione contro le donne in Iran? Secondo il regime, la politica in Iran è un campo maschile, che comunque ha limiti stabiliti anche per gli uomini; trasgredire tali limiti è punibile.
L’ingresso delle donne nella vita pubblica e politica non è soltanto considerato come una sfida al potere, ma viene specificamente considerato come una sfida all’ideologia patriarcale del sistema islamico. Quindi si può dire che, secondo il regime, la donna attiva nella sfera sociale e politica commette due reati. Il primo è trascurare i doveri di madre e moglie, suo ruolo principale, entrando nella sfera pubblica e, per giunta, criticando il regime. Il secondo è che, criticando il potere e il regime, trasgredisce e supera i limiti stabiliti e quindi merita la punizione più severa.
Le donne iraniane sono unite nella lotta contro le leggi discriminatorie originate dalla cultura patriarcale. Attualmente più di cinquanta donne si trovano in carcere per aver protestato pacificamente e le donne fuori dal carcere le sostengono e lottano per creare un mondo migliore per tutti, donne e uomini. Il regime sa bene che la vittoria delle donne getta le basi per la democrazia in Iran e per questo motivo cerca di reprimerle e di metterle a tacere. Il regime è così severo contro le attiviste e cerca di reprimerle perché il movimento femminista è riuscito ad entrare anche nelle case dei fondamentalisti al potere, i quali sanno che la vittoria delle donne comporterà grandi cambiamenti sulla scena politica e sociale del Paese.
Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, è presidente e fondatrice del Centre for supporters of Human Rights. Narges Mohammadi è vicepresidente e portavoce (Traduzione di Ella Mohammadi)