Repubblica 2.11.15
La verità per favore sui pericoli della carne
di Elena Cattaneo
“La carne rossa e gli insaccati provocano il cancro”. Le parole sono importanti. Usare termini corretti e riportare i fatti è il minimo che come scienziati dobbiamo ai consumatori, i primi a subire le conseguenze di una comunicazione che volendo semplificare finisce col distorcere la notizia.
LO Iarc, agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, analizza la cancerogenicità di agenti chimici, fisici o biologici avvalendosi delle migliori conoscenze scientifiche pubblicate su riviste sottoposte a peer review . Nel caso specifico, 22 esperti di 10 Paesi hanno analizzato più di 800 ricerche condotte negli ultimi 20 anni sui rapporti tra alimentazione e cancro. È così possibile stabilire se una sostanza o attività è “cancerogena per l’uomo” (gruppo 1) o se lo è “probabilmente” (gruppo 2A) o “possibilmente” (gruppo 2B), e via dicendo fino al gruppo 4 del “probabilmente non cancerogeni”. Il gruppo 1, in cui sono state appena inserite le carni lavorate come salsicce, prosciutti, wurstel e speck, stabilisce una relazione causale sufficientemente provata tra il consumo e una tipologia di tumore nell’uomo. Nel gruppo 2A, in cui è stata inserita la carne rossa, rientrano quegli agenti per i quali l’evidenza di cancerogenicità è sufficiente negli animali ma limitata nell’uomo. Nel 2B le prove sono limitate, sia nell’uomo sia negli animali.
Nel gruppo 1 “dello speck e dei prosciutti” rientra per esempio il fumo anche indiretto, l’esposizione alle radiazioni solari, alla segatura e all’etanolo contenuto nel vino o nelle grappe. Ma, si diceva, le parole sono importanti: una prova sufficiente non vuol dire che vi sia una conseguenza certa, perché, come sempre, è la dose che fa l’effetto, non la sola presenza, a cui si aggiunge la risposta individuale (genomica). Inoltre, sebbene le correlazioni tra popolazioni, salute e consumi siano difficilmente sintetizzabili, sappiamo che in Trentino-Alto Adige si consuma molto speck, wurstel e maiale affumicato ma i casi di tumore al colonretto (patologia che ha spinto lo Iarc a inserire in categoria 1 le carni lavorate) sono in proporzione più frequenti in quattro Regioni comparabili per numero di abitanti: Basilicata, Umbria, Marche e Liguria. La cautela dello Iarc è motivata, gli allarmismi no.
Nella seconda categoria, la 2A, dove ora è stata inclusa anche la carne rossa, vi rientrano anche i fumi dell’olio della frittura, il lavoro stesso di parrucchieri e barbieri, la manifattura del vetro e il lavoro con turni di notte. Di fronte agli allarmi contro la carne rossa, abbiamo ascoltato Coldiretti frenare contro il “terrorismo” alimentare e difendere le carni italiane sottolineando anche la qualità dell’alimentazione degli animali (costituita per l’87% da mangimi con Ogm, come spiegano le stesse organizzazioni dei mangimisti, Assalzoo). Non si può quindi più nascondere, come invece hanno fatto i governi degli ultimi 15 anni, che gli Ogm “fanno anche la qualità dei prodotti alimentari italiani”.
Al gruppo 2A appartiene un altro agente spesso messo alla gogna. Mi riferisco al glifosato, un erbicida presente in 750 prodotti e il cui brevetto è scaduto nel 2001. Lo si conosce perché collegato alla soia Ogm, la cui coltivazione è vietata in Europa e il cui brevetto è anch’esso scaduto nel 2014. Il glifosato è nel gruppo 2A ma non sembra che, per questo, gli agricoltori che lo usano corrano maggiori rischi. Si applica per diserbare le coltivazioni di soia Ogm, quella della mangimistica di cui sopra. Però in Italia, dove non si coltivano Ogm, il glifosato è usato nelle stesse quantità sulla soia non-Ogm (trattata con altri cinque o sei erbicidi) e per rimuovere le erbacce su strade e binari.
La storia della carne rossa e della sua “probabile” cancerogenicità, insomma, aiuta a chiarire molti fatti. Innanzitutto ci fa intuire che alcuni alimenti della dieta italiana — secondo Paese più longevo al mondo — è probabile che siano cancerogeni o potenzialmente tali. Ma la cancerogenicità si esprime in funzione delle dosi. Ciò significa che le informazioni vanno contestualizzate. Secondo alcuni studi l’assunzione di più di 5 litri di acqua in poche ore, specie dopo uno sforzo prolungato, è causa di morte (intossicazione acuta da acqua). Il botulino è uno dei veleni naturali più potenti al mondo, ma una minima calibrata dose cura gli spasmi incontrollati (di palpebre e vescica) e notoriamente, appiana le rughe. Questo basta per affermare che l’acqua è pericolosa per la vita dell’uomo? O che una parte della popolazione femminile è a rischio paralisi? Al vaglio dello Iarc c’è ora il caffè: contiene 70 molecole sospette. Ce ne sono di cancerogene? Magari sì e se ne bevessimo vari litri al giorno potremmo raggiungere dosi pericolose. Quindi come per la carni rosse, serve moderazione e varietà alimentare.
La seconda cosa che impariamo è che dobbiamo stare attenti a non strumentalizzare i rischi — ignorando la scienza e distorcendo i fatti — al fine di celare interessi lontani da quelli dei cittadini e dell’economia del Paese. Chi attacca il glifosato in Italia vuole attaccare, indirettamente, gli Ogm. Chi difende le carni rosse in realtà sta indirettamente difendendo la soia Ogm, ossia le proteine vegetali che si convertono in proteine animali. Allontanarsi dai dati scientifici porta a delle contraddizioni, svelando la realtà.
Sulla base della recente classificazione del glifosato nella categoria 2A, la stessa delle carni rosse, diversi parlamentari rivolgendosi ai ministri della Salute, dell’Ambiente e delle Politiche agricole, hanno chiesto loro «se non ritengano opportuno sospendere l’utilizzo e la commercializzazione di prodotti contenenti glifosato, con effetto immediato, applicando il principio di precauzione». Seduta in Aula in Senato mi guardo intorno e temo che qualche collega possa presentare un’interrogazione per chiedere ai ministri competenti se non sia il caso di sospendere, con effetto immediato, la commercializzazione dello speck, posizionato nella categoria a maggior rischio. Alcuni magari brinderanno con un bicchiere di vino dimenticando che lo Iarc pone l’alcol nella stessa categoria delle carni lavorate. Gruppo 1.
Docente all’Università degli Studi di Milano e senatore a vita