lunedì 23 novembre 2015

Repubblica 23.11.15
Renzi stretto tra assenza di una strategia e non intervento
Il premier rischia un inciampo alle comunali. Non riesce a far nascere una nuova classe dirigente del Pd
di Stefano Folli


COSA rende il governo così sicuro che l’Italia non sarà il prossimo bersaglio del terrorismo? Renzi e il ministro dell’Interno, Alfano, usano quasi le stesse parole per rassicurare l’opinione pubblica: “Nessuno è a rischio zero, ma in Italia si può stare tranquilli”. Uno stato d’animo che contrasta con la paura dilagante in altri paesi dell’Unione, vedi il Belgio dopo la Francia.
Da dove viene questa semi-certezza? Dalla fiducia nei nostri servizi d’informazione e sicurezza, senza dubbio, messi a confronto con la Waterloo della rete francese. Ma anche da una convinzione profonda: che per salvarsi dall’Islam radicale è sufficiente non farsi coinvolgere troppo nella mischia. Fra le righe, ma nemmeno tanto, il governo considera che la Francia ha contribuito negli ultimi anni, certo in modo inconsapevole, a creare il caos nel mondo arabo. E infatti il motivo ricorrente usato da Renzi, Gentiloni e Alfano per spiegare la riluttanza italiana a usare la forza militare contro l’Isis riguarda il ricordo della Libia. “Attenzione a non ripetere quell’esperienza, vedete cosa è successo quando si fece cadere Gheddafi senza preparare il dopo”.
La Siria di oggi come la Libia di allora, nonostante che le differenze siano macroscopiche. Ma il tema viene sollevato soprattutto per prendere le distanze da Parigi, evocando la responsabilità di Sarkozy, predecessore di Hollande, nello scatenare quell’offensiva aerea contro Gheddafi che mise in grande imbarazzo il governo italiano. E non è un caso se oggi anche Berlusconi, presidente del Consiglio al tempo della guerra libica, la pensi come Palazzo Chigi almeno sul punto della freddezza verso Parigi.
QUINDI cautela, massima cautela. Nel timore di scoperchiare qualche nido di vespe in Siria e al tempo stesso di complicare le cose fra Tripoli e Tobruk, dove l’Italia è assai esposta. Nell’attesa, s’intende, che Stati Uniti e Russia trovino un punto d’incontro e diano uno sbocco alla crisi. Tale linea riassunta nel vecchio detto che ammonisce: “chinati giunco, che passa la bufera” - costituisce la riedizione moderna della tradizionale politica mediterranea dell’Italia. In passato essa contribuì a tenere il paese - purtroppo non sempre - al riparo dal terrorismo mediorientale, oggi non sappiamo. Come è evidente, l’opinione pubblica interna è disorientata al pari di quelle di Francia, Belgio, Germania. La differenza è che da noi si cerca di limitare l’allarme pubblico, in modo di non correre il rischio di trasformarlo in allarmismo. Per il resto ci si affida all’idea che il miglior modo di proteggersi consiste nello sfidare nessuno e nell’evitare di inasprire i rapporti con potenziali nemici. Ciò richiede sul piano interno una forte coesione e un solido consenso. Sfortunatamente, la prima è carente e il secondo più fragile di quanto si pretenda.
È vero che a destra Berlusconi, quale ex premier e buon amico di Putin, è attento a tenere aperto un canale di comunicazione con il governo. Ma già il suo alleato Salvini sbandiera posizioni molto più radicali, mentre i Cinque Stelle, pur navigando nell’ombra, continuano a essere i collettori del risentimento e delle frustrazioni di un ampio segmento di elettorato. Ilvo Diamanti ha spiegato bene su queste colonne come sia stretta oggi la forbice fra il Pd renziano e il partito grillino. Senza dubbio la tensione e la paura che si respirano in Europa contribuiscono non poco a questo esito poco confortante per il presidente del Consiglio. Il quale, da parte sua, continua a lanciare segnali contraddittori in vista del passaggio più insidioso per la sua leadership: le comunali della prossima primavera nelle grandi città. Il rischio di perderne due o tre, da Roma a Napoli e forse Bologna, è alto, con conseguenze che sarebbero imprevedibili.
Di fatto non si vede ancora una strategia. Il premier è stretto fra una grande crisi internazionale, in cui l’Italia si sforza di restare marginale, e un potenziale inciampo interno. Il ritorno in campo dal passato di Antonio Bassolino a Napoli, personalità di forte temperamento e sicura esperienza, rappresenta la conferma che il mondo renziano fatica a offrire una classe dirigente adeguata alla retorica del leader. Ma non si può nemmeno pensare che Renzi possa essere protagonista sulla scena internazionale, se viene indebolito e azzoppato sul piano interno.