lunedì 23 novembre 2015

Corriere 23.11.15
Le primarie e la norma anti Bassolino
L’idea del Pd: vietarle agli ex sindaci
La regola non varrebbe per chi è in carica e deve fare ancora un secondo mandato
Renzi pensa a una scelta fuori dal partito. Amministrative il 12 giugno
di Maria Teresa Meli


ROMA Lentamente la politica italiana, raggelata e congelata dagli avvenimenti di questi giorni, riprende a muoversi. Il che vuol dire che tornano le polemiche interne e le divisioni correntizie, nel Pd. La qualcosa fa indispettire Matteo Renzi, impegnato a tessere la sua tela internazionale. A chiunque si occupi delle beghe di casa democratica, il premier ripete sempre le stesse parole: «Ma non vi rendete conto che parlare delle discussioni interne al Pd in queste ore è ridicolo? Siamo il partito più grande d’Europa, occupiamoci di terrorismo e di risposta in termini culturali e di sicurezza che dobbiamo dare a questa emergenza». Un ammonimento che vale per la minoranza interna e anche per una fetta della maggioranza renziana.
Ma il fatto che la politica italiana torni a muoversi è inevitabile, visto che il 12 giugno è previsto il primo turno delle amministrative. Che, nel caso del Pd, saranno precedute dalle primarie del 20 marzo. Alla fine, infatti, si è deciso che queste consultazioni si faranno dovunque: «Non mi farò certo dire da chi magari le ha sempre osteggiate che proprio io non le ho volute», ha spiegato Renzi ai suoi.
Mai come questa volta, con il caso Bassolino aperto a Napoli, e l’incognita Marino a Roma, le primarie si prevedono complicate. Per evitare queste difficoltà è stato deciso di porre regole precise e vincolanti per tutti. E ce n’è, una, in particolare, che taglierebbe la testa al toro in alcune situazioni locali. È questa: chi è stato sindaco non può ricandidarsi alle primarie del Pd. Al Nazareno spiegano: vale per Marino nella Capitale e per Bassolino a Napoli, ma varrebbe anche per lo stesso Renzi a Firenze o per Veltroni e Rutelli a Roma.
Ovviamente la regola non vale per i sindaci in carica che si cimentano con un secondo mandato. Per esempio, a Torino Piero Fassino scenderà in campo, anche se lui avrebbe preferito soprassedere e non correre più per la riconquista del capoluogo piemontese. Dove, tra l’altro, le elezioni si annunciano difficili, visto chela Sinistra italiana (Sel più i fuoriusciti dal Pd) si presenterà con l’ex Fiom Giorgio Airaudo e corre voce che i grillini, alla fine, potrebbero appoggiare questa candidatura. Ma Renzi su questo punto è stato irremovibile e Fassino, che è noto per il suo spirito di servizio, si è adeguato.
Insomma, per farla breve, la novità che si intende introdurre è una vera e propria norma anti-Bassolino e Marino. I due, è ovvio, potrebbero decidere di correre a giugno in proprio, con una loro lista civica, ma questo equivarrebbe a rompere definitivamente con il Partito democratico.
Questa come altre regole, dovrà essere condivisa dappertutto, onde evitare polemiche della prima e dell’ultim’ora. E sempre per lo stesso motivo verrà prevista una norma secondo la quale chi perde, accetta il verdetto degli elettori (così come fece Renzi a suo tempo con Pier Luigi Bersani, per le primarie per la segreteria). Il che vuol dire che non potrà poi presentarsi comunque alle amministrative, pur avendo perso le primarie. È una regola, questa, che il Pd intendere applicare anche lì dove riuscirà ad allargare queste consultazioni a una coalizione di centrosinistra. Obiettivo, questo, che il Partito democratico persegue, come dimostrano le dichiarazioni rilasciate tempo fa dal capogruppo alla Camera Ettore Rosato: «Alle amministrative auspico alleanze con Sinistra italiana».
Già, perché questa volta le elezioni sono più che mai a rischio, soprattutto a Roma, dopo il «caso Marino» e le polemiche che ne sono seguite, e a Napoli, dove si pensa a un candidato non politico. Del resto, Renzi sa, e lo ha spiegato ai suoi, che c’è «il rischio che per andare contro il Pd la sinistra faccia un favore alla destra e ai grillini».
«Diciamoci la verità, in queste amministrative avremo tutti contro», ha confidato il presidente del consiglio ai collaboratori. Per questo continua a ripetere che le urne che si apriranno a giugno «non saranno un test per il governo» e nel frattempo sembra puntare tutto su Milano, perché, almeno sulla carta, nel capoluogo lombardo è più facile vincere centrodestra e grillini.
Poi ci sarà il referendum, che potrebbe tenersi domenica 18 ottobre, in cui Renzi è invece convinto di strappare una vittoria definitiva.