Repubblica 23.11.15
Così i terroristi sognano un paradiso all’occidentale
I fondamentalisti attingono la loro forza dal sentirsi espressione della volontà di un essere supremo. Che promette un aldilà di piaceri che loro stessi si negano in vita
Essendosi identificati con i redentori dell’umanità, proiettano i loro desideri più impuri nel nostro mondo corrotto che si incaricano di distruggere per emendare la parte scabrosa di sé
di Massimo Recalcati.
Impugnando insieme il mitra e il Corano, i terroristi dell’Is uccidono vite innocenti in nome della Legge di Dio: possono sparare freddamente, a bruciapelo, contro giovani sconosciuti senza provare la minima emozione, senza avere alcun dubbio sulla necessità della loro crudeltà. Se il loro braccio è armato direttamente da Dio, la loro forza scaturisce dal sentirsi espressioni della volontà di un Essere supremo che li libera da ogni senso di colpa e dalla paura umana della morte. Il loro Dio, infatti, li ricompenserà con una vita ultraterrena fatta di godimenti senza limiti: abbeverarsi di sostanze estasianti, possedere innumerevoli vergini, bearsi in un mondo dove tutto è permesso li solleverà da una vita terrena fatta di stenti e disperazione. Il loro martirio è richiesto da una Legge che non è quella degli uomini, ma quella di un Essere supremo che saprà riconoscere e premiare giustamente la loro fedeltà assoluta. La loro vera vita non è questa, ma è in un altro mondo. L’esistenza dell’Occidente impuro gli consente di identificarsi al giustiziere senza macchia che serve la Legge di un Dio folle. Tuttavia, il paradiso a cui anelano coincide paradossalmente con quella rappresentazione della vita dei giovani occidentali che odiano ma dalla quale, in realtà, si sentono esclusi. Il meccanismo che presiede la loro volontà omicida è drammaticamente elementare. Si chiama “proiezione”: essendosi identificati coi redentori dell’umanità, con gli unici e autentici cavalieri della fede, con la purezza intransigente del martire, proiettano i loro desideri più impuri nell’Occidente corrotto che s’incaricano di distruggere per emendare quella parte scabrosa di se stessi che non riescono a riconoscere come tale. In questo senso sono davvero anime morte che uccidono le esistenze di cui invidiano la vita e la libertà.
Jacques Lacan ha fatto notare che quando l’uomo calpesta la Legge della parola per rispondere ad una Legge che è totalmente al di là degli uomini, che trascende ogni limite che questa Legge impone, esso si incammina lungo il sentiero tetro della perversione. Ogni volta che qualcuno diviene giustiziere, ogni volta che uccide in nome di una Causa che trascende la vita particolare dell’uomo, egli diventa un “crociato”, un militante della Fede che disprezzando la Legge (imperfetta) degli uomini vuole affermare quella (perfetta) del suo Idolo. In questo senso profondo la psicologia del terrorista dell’Is è perversa. Essa agisce in nome di una Causa, di un Essere supremo che odia gli infedeli, ordinando la loro epurazione fisica. La depravazione dell’Occidente li rinsalda nei loro ideali ascetici che non sono solo uno stile di vita tra gli altri, ma che vorrebbe essere imposto come il solo stile di vita possibile. I loro cuori bruciano di spirito di vendetta: farsi esplodere o uccidere è un modo per avvicinarsi a Dio, per accedere ad un paradiso di carne che li beatificherà eternamente. L’ingenuità di questa costruzione può rapire la vita dei più giovani che, come ricorda Gesù nella parabola della donna adultera, sono gli ultimi a lasciare la piazza, a lasciare cadere dalla loro mani le pietre del giudizio… I terroristi coltivano perversamente l’orrore per suscitare l’angoscia nel loro nemico. Nessuna forma di terrorismo sino ad oggi è stata così meticolosa nel coltivare mediaticamente questa strategia. Mostrare in diretta lo sgozzamento dei prigionieri, trascinare nella polvere i loro cadaveri sghignazzando, ammonire severamente l’Occidente che la sua libertà pacifica, conquistata nei secoli, ha i giorni contati, mostrare, insomma, l’orrore senza veli serve a provocare l’angoscia nell’Altro.
È il loro ricatto perverso: non si tratta di semplicemente di impaurire l’Occidente, né di colpire bersagli determinati come accadeva per il terrorismo che abbiamo già conosciuto, ma di corrodere dall’interno la sua stessa vita, di rendere la nostra vita in generale meno sicura, meno certa, esposta al rischio della morte casuale dell’atto terrorista che, come sappiamo, non potrà mai in nessun modo essere totalmente prevenuto.
Essendo dappertutto, non-circoscritto, il pericolo non genera più una paura localizzata all’oggetto considerato minaccioso (l’obiettivo cosiddetto sensibile), ma si diffonde ovunque, attraversa le nostre vite diventando puro panico collettivo. Inoculare l’angoscia trasformandola in panico è, dunque, l’obiettivo massimo della strategia terrorista. Essi vogliono vedere negli occhi dell’Occidente lo smarrimento e il terrore rendendo la nostra vita prigioniera. Per questa ragione la prima risposta che, come insegna la psicoanalisi, è sempre necessario dare alla perversione è quella di respingere l’angoscia, di sottrarsi alla sua ipnosi maligna, di rifiutarsi di cedere sulla nostra libertà.