lunedì 23 novembre 2015

Repubblica 23.11.15
Nouriel Roubini.
“Ma la vera sfida è investire contro la paura evitando la crisi”
“Tra le conseguenze degli attacchi c’è anche il crollo della fiducia che in economia è tutto Hollande e Merkel si giocano la riconferma”
“I tre mesi di stato di emergenza avranno dirette conseguenze sulla crescita in tutto il continente”
intervista di Eugenio Occorsio


La comunità globale degli economisti «vuole aggiungere la sua voce a tante altre esprimendo sgomento per l’attacco terroristico a Parigi e in altri luoghi, e mandando un abbraccio alle famiglie delle vittime». Nouriel Roubini, nato nel 1958 in Turchia da famiglia ebraica iraniana, cresciuto in Italia e diventato, da cittadino americano, uno dei più prestigiosi economisti mondiali, oggi docente alla New York University, è di nuovo preoccupato. Non per l’eccesso di speculazioni che portò alla crisi finanziaria del 2008 in America con tutto quello che ne è seguito, ma per il colpo di freno ad un sereno sviluppo mondiale che i fatti di questi giorni possono provocare. «Intendiamoci – puntualizza – è ancora presto per una vera e propria modifica delle previsioni macroeconomiche, ma c’è il pericolo che si materializzi uno dei rischi più seri in grado per dare uno scossone alla già precaria ripresa in occidente. In particolare per la Francia ci sono seri rischi di un impatto negativo sul Pil».
In conseguenza diretta degli attacchi?
«Sì, perché l’effetto sulla psicologia e quindi sulla fiducia, che in economia è tutto, sarà naturalmente molto violento. I tre mesi di stato d’emergenza probabilmente avranno conseguenze dirette sulla crescita, particolarmente se il turismo e anche l’attività di business rallenteranno bruscamente. In qualche misura, sulla produzione questo sarà controbilanciato dall’aumento degli investimenti pubblici in termini militari e di sicurezza, e ciò è valido in tutta Europa, avallato dalla flessibilità fiscale della commissione. Ma su queste spese militari ci sarebbe molto da discutere ».
In che senso?
«Prendiamo gli Stati Uniti: hanno speso ormai l’incredibile somma di 2mila miliardi di dollari nelle guerre in Iraq e Afghanistan con l’unico risultato di creare più instabilità. Se l’occidente continua a ignorare le reali necessità del Medio Oriente o tratta i problemi della regione solo in termini militari, invece che affidarsi alla diplomazia e riservare le risorse finanziarie al supporto della crescita locale e alla creazione di posti di lavoro, l’instabilità e l’incertezza in tutta l’area possono solo peggiorare. E i risultati di questa scelte in ultimo danneggeranno l’Europa, gli Stati Uniti e tutta l’economia globale per molti decenni a venire».
Vuol dire che la crisi non sarebbe confinata al Medio Oriente?
«Certo che no. Che esportino terrorismo si è visto. Ma anche dal ristretto punto di vista dei mercati finanziari, lo shock da un’escalation in Siria, il caso più rovente, contagerebbe tutte le economie attraverso il canale della fiducia: investitori, imprenditori e consumatori sono molto vulnerabili. Senza contare il coinvolgimento diretto di Paesi importantissimi quali Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia. Il Fondo monetario identifica nella Cina e in altri Paesi emergenti il rischio di una nuova contrazione a livello mondiale, ma anche questa minaccia non va sottovalutata. L’intero Medio Oriente è una polveriera ora più che mai, con conseguenze mondiali. E ora non può più neanche contare sulla risorsa del petrolio per finanziare il suo sviluppo».
Perché i prezzi sono bassi? A proposito, perché non risalgono come era sempre successo in presenza di tante tensioni nell’area?
«Per motivi che vanno dalla sovrapproduzione alla frenata cinese. E poi perché i mercati sono purtroppo così abituati alla tensioni in Medio Oriente da non reagire più a battaglie e terrorismo. Però bisogna seguire con la massima attenzione le relazioni interne a tutta l’area, dove le vicende militari ed economiche sono drammaticamente interconnesse. Per esempio c’è una guerra “per procura” in corso fra Arabia Saudita e Iran, non solo di potere interno all’Opec, se è vero che in Siria i due Paesi appoggiano uno le varie frange combattenti sunnite e il secondo il regime di Assad. Tutto questo conoscerà uno sviluppo ulteriore con il boom di produzione iraniana previsto appena si sbloccherà il dopo-sanzioni, che porterà a un ulteriore eccesso di offerta e quindi un ribasso dei prezzi: e visto che l’Arabia Saudita comincia ad avere seri problemi di bilancio (oggi il deficit è il 20% del Pil) e che deve fronteggiare crescenti spese militari (non solo in casa ma in Egitto, Yemen e Siria) le sue reazioni in presenza di un ennesimo crollo dei prezzi sono tutte da verificare. Infine, non dimentichiamo che la crisi in Medio Oriente ha già creato una crisi ancora maggiore in Europa con il problema dei rifugiati, che ha ovviamente riflessi economici perché impone ai Paesi di creare infrastrutture e sostentamento per questi disperati, e anche riflessi politici tali da squassare le cancellerie».
Ha preoccupazioni per la tenuta della Merkel?
«Certo, questa vicenda, con le sue incertezze e i ripensamenti, potrebbe costarle la rielezione nel 2017. Potrebbe essere eletto allora Schaeuble, con quali risultati in termini di austerity e di stretta europea è facile immaginare. Altro che crescita. E anche Hollande, che pure sta reagendo duramente agli attacchi, rischia sul fronte immigrazione di lasciare strada alla Le Pen».