mercoledì 18 novembre 2015

Repubblica 18.11.15
L’attivismo di Parigi e l’Italia a basso profilo
di Stefano Folli


TUTTO corre molto in fretta in Europa dopo le stragi di Parigi. Si è creato di fatto un asse fra Parigi e Mosca. Da un lato, Hollande che continua a bombardare le posizioni dell’Is in Siria; dall’altro, Putin che gli dà man forte, fino al punto da prendere in prestito la retorica occidentale dei momenti cruciali. “Una minaccia analoga a quella di Hitler” fu l’argomento usato dalla Casa Bianca per motivare l’attacco a Saddam Hussein sia nella prima sia nella seconda guerra del Golfo. Ed è la stessa immagine usata ieri dal presidente russo per spiegare l’intensificarsi dei bombardamenti contro lo Stato islamico. Non solo. Putin ha messo sul tavolo i 224 morti dell’aereo precipitato nel Sinai: per la prima volta in modo inequivocabile Mosca ha attribuito la catastrofe a un attentato dei fondamentalisti.
Così tutto si tiene: i morti francesi a Parigi e i morti russi di Sharm. Un filo rosso inedito con Hollande pronto a incarnare un nuovo protagonismo, impensabile fino a qualche tempo fa in un uomo così poco carismatico. Tuttavia sono gli eventi eccezionali, e quindi le guerre, a plasmare i leader e può darsi che il socialista Hollande sia entrato nei panni che non era riuscito a indossare, se non per un attimo, in gennaio dopo l’attentato di Charlie Hebdo. Che il presidente stia pensando anche alle elezioni regionali e a come rintuzzare Marine Le Pen, non c’è dubbio. Ma ciò non toglie che la sua iniziativa, rafforzata dall’intesa con Putin, ha spiazzato il resto dell’Europa.
Federica Mogherini, commissario per la politica estera, ha assicurato a Parigi l’assistenza militare richiesta, ma ovviamente è alle varie capitali che si guarda. Dove, un po’ ovunque, domina la prudenza, forse anche il fastidio per l’attivismo francese. Di questa cautela è un perfetto esempio l’Italia di Renzi. Il premier parla di mettere a punto con i partner una strategia entro cui comprendere tutte le opzioni, quindi in via teorica anche un intervento militare concertato. Ma è chiaro che si pensa ad altro: indagini, lavoro di “intelligence”, ricerca di strumenti tecnologici innovativi per prevenire altri attentati. Così facendo si rischia di perdere di vista il punto politico: e cioè che la gravità della crisi potrebbe cambiare a medio termine gli equilibri europei. Dopo aver accettato o subìto per anni l’egemonia tedesca, oggi la Francia, spinta dalle circostanze, tornerebbe a svolgere un ruolo di primo piano sulla scena continentale. E per un paradosso della storia il paese più ostile all’integrazione potrebbe cambiare spartito, innescando un meccanismo in grado di condurre, se non altro, a un nucleo di difesa comune.
Non è un caso che Parigi insista in questi giorni sulla necessità di abbattere i paletti dell’austerità economica e di accettare un livello più alto di deficit per finanziare gli strumenti militari. È un’altra sfida implicita alla visione europea della Germania, a cui per ora la Merkel non ha dato risposta. L’Italia, come si è detto, tiene un profilo molto basso, anche se la rottura dei parametri sarebbe nel nostro interesse. Eppure il protagonismo solitario di Hollande non è gradito a Palazzo Chigi. Forse perché il ricordo delle imprese in Libia di Sarkozy è ancora troppo vivo, o forse per altre gelosie. Certo, oggi il contesto è del tutto diverso, anche perché il presidente francese chiede, anzi implora che si crei una coalizione europea. Difficilmente la otterrà, ma l’alleanza bilaterale con Putin già di per sé rappresenta un’asimmetria clamorosa rispetto al solito “tran tran” dell’Unione.
Renzi ha scelto invece di tenersi stretto a Obama, come si è visto al G20. Tuttavia il presidente americano sta entrando nell’ultimo anno di mandato e sembra chiara la sua intenzione di evitare in ogni modo problemi che lo farebbero scivolare lungo un piano inclinato. Apprezza senza dubbio la sponda italiana e a sua volta Roma ricava dei vantaggi da questa riaffermata lealtà, ad esempio la partecipazione di Gentiloni ai colloqui di Vienna sulla Siria. Ma questa prudenza diplomatica non serve a molto se si ignora lo sfondo politico europeo modificato in modo forse irreversibile dalle bombe di venerdì 13. Putin lo ha capito; altri nell’Unione, no.