lunedì 16 novembre 2015

Repubblica 16.11.15
“Non dobbiamo avere paura dei nostri sogni”
Parla Sonu Shamdasani, curatore dell’immenso “Libro rosso” di Jung
“Nell’inconscio è nascosto il sacro”
di Silvia Ronchey

Sonu Shamdasani sarà, sabato, uno dei protagonisti di “ L’arte della felicità”, il festival che si tiene a Napoli da oggi fino a domenica prossima. Fra gli altri partecipanti, Franco Arminio e Paolo Siani
«Le religioni non sono in sé negative. Non sono d’accordo né con Marx né con Freud. Sono più vicino a Jung». Quando Sonu Shamdasani risente le parole usate dal vecchio amico e maestro James Hillman nel rispondere alla domanda se la violenza del terrorismo islamico fosse realmente legata alla religione, ha un attimo di esitazione. Probabilmente perché la sua mente va al lavoro di una vita, la cura del “Libro rosso” del fondatore della psicologia analitica, smisurato percorso iniziatico tra gli abissi e le illuminazio
ni dell’animo umano. «Secondo Jung — spiega, mentre sta arrivando in Italia per partecipare al festival L’arte della felicità a Napoli — riafferrare la possibilità dell’esperienza religiosa attraverso la psicologia era un recupero di significato che rispondeva alla perdita di senso prodotta dalla laicizzazione».
Una perdita avvenuta in quale momento della storia?
«Con l’illuminismo, che vedeva come estrema conseguenza negativa dell’apoteosi del razionalismo. Jung cercava di salvare gli sviluppi positivi della scienza e della tecnologia e insieme di mitigarne l’impatto negativo, soprattutto nel senso della perdita di significato delle vite individuali».
Ma Jung nel suo studio aveva un busto di Voltaire.
«Sì. Diciamo che cercava di esplorare i misteri senza perdere la testa. Cioè di mantenere un’attitudine scettica nel suo essere aperto al possibile».
Il pensiero di Jung era un pensiero laico o un pensiero religioso?
«Jung è in origine una persona dall’orientamento religioso che intorno al volgere del secolo sperimenta un’autentica conversione al pensiero scientifico moderno. Ma intorno al 1912-1913 ha una prima crisi. Si accorge di avere smarrito il senso della vita e cerca di recuperarlo in un lungo viaggio di esplorazione di sé. Tenta di orientarsi nella tradizione in cui è cresciuto e di tornare quindi a Cristo, ma in maniera empirica, il che a sua volta lo apre ad altre tradizioni, come il buddhismo e l’induismo. Vuole cogliere l’esperienza sotto le forme storico-culturali, capire se vi siano elementi comuni per tentare un processo di trasformazione attraverso cui il senso potente dell’esperienza individuale si incorpori in specifiche forme tradizionali».
Dopo l’egemonia del binomio Marx-Freud nel XX secolo, il XXI vede un rinnovato interesse per le religioni: non solo induismo e buddhismo ma anche sufismo, ad esempio e anche cristianesimo. Nonché per il pensiero dei mistici, i diversi rituali e forme di preghiera, meditazione, yoga, e poi lo studio dei simboli, l’alchimia, la magia, l’occultismo e in generale l’esoterismo. In questo incessante revival di ciò che Hillman considerava una deriva New Age ci sono tutti gli elementi presenti negli scritti di Jung.
«Jung afferma che il comparativismo storico- religioso non è solo di interesse erudito ma parla alle forme, alle strutture che sono onnipresenti negli individui: corrisponde all’esperienza collettiva delle persone. Ecco la connessione diretta con la prassi psicoterapeutica: Jung constata paralleli indubitabili quanto inconsapevoli tra le forme presenti nei sogni e nelle fantasie dei pazienti e le tradizioni esoteriche».
Jung oggi è di moda, mentre la giovane generazione sembra trascurare Freud. Crede che questo abbia a che fare con il diffuso ritorno dell’interesse religioso?
«Assolutamente sì. È curioso che Jung sia letto come un autore contemporaneo e Freud come un autore storico che non parla più alle inquietudini contemporanee».
Il “Libro rosso” è diventato una specie di bibbia della nuova generazione. Perché?
«Il Libro rosso racconta come Jung è diventato Jung. Ciò che più ha toccato i lettori è stato il senso di assertività che comunica, incoraggiando ciascuno ad affrontare la propria esperienza, a scorgere il valore di questa impresa, a comprendere che per quanto folli possano essere sogni e fantasie rientrano comunque nel registro umano e c’è qualcun al- tro che ne ha avute di simili e si è preso la briga e ha avuto la pazienza di cercare di capirle. Ha dato ai lettori la sensazione di non essere soli. Quindi, a mio parere, il suo successo non riguarda né la psicologia di Jung né una sua particolare cosmologia. Il senso è che vale la pena appoggiarsi alla propria esperienza per spingersi più avanti in una qualsiasi iconografia interiore adatta alla propria vita».
Oggi l’occidente sta assorbendo sempre più il buddhismo, anche nel cristianesimo.
Jung mette spesso in relazione le due religioni e in particolare, nelle Memorie, c’è un confronto intrinsecamente gerarchico: “Nel cristianesimo c’è più sofferenza, nel buddhismo più visione e azione. Entrambe le vie sono giuste, ma il Buddha è l’essere umano più completo”.
«Quello che le religioni a un certo momento gli fanno capire, è che esistono aspetti vitali di cui nel cristianesimo contemporaneo si è smarrita la presenza. Aspetti che Jung cerca di reintegrare. Non è quindi semplicemente una questione di gerarchia. Bisogna chiedersi: cos’è che gli abitanti di quello che allora si chiamava occidente potevano imparare dalle altre tradizioni? Non si trattava semplicemente di adottarle, ma di scorgervi ciò che poteva essere riportato indietro e compreso, ad esempio, dal cristianesimo. La cosa più importante per Jung era questo viaggio di ritorno».
È un viaggio di ritorno non solo nello spazio ma anche nel tempo: riportare l’oriente nell’occidente e il passato nel presente.
«Sì, e ci aiuta ad affrontare un altro grande problema di oggi: come convivere con popoli che hanno diverse visioni del mondo, credenze, forme politiche.
Qualunque percorso possa promuovere uno spirito di mutua comprensione e tolleranza è fondamentale, e lo è tanto più quando si arriva alle materie di fede e a ciò che Paul Tillich ha chiamato la “cura ultima”, cioè la ricerca dell’essere, la riconnessione col fondamento ».
Ma è fondamentale anche la laicità della psicologia. Non crede che l’approccio psicologico, per cui l’esperienza religiosa è espressione di un processo psichico, sia ancora più utile al nostro mondo?
«Certo, ma occorre studiare anche il laicismo e anche la psicologia come particolari ontologie o visioni del mondo».
Secondo lei nel nuovo quadro contemporaneo prevale la laicizzazione dell’esperienza religiosa o il ritorno alla religiosità, anche se in qualche modo ibrida e sincretistica?
«Credo che i due aspetti siano inscindibili: la psicologia junghiana rende possibile un nuovo approccio alla questione religiosa nell’età moderna. O almeno è ciò che Jung sperava».
Un nuovo immanentismo?
«Sì. È questo che Jung cercava di promuovere ».