lunedì 16 novembre 2015

Repubblica 16.11.15
L’Isola di Pasqua ora sogna la libertà
A Rapa Nui si riaccende la battaglia per l’indipendenza dal Cile: l’ipotesi di un ricorso alle Nazioni Unite
di Alessandro Oppes


MADRID POCO importa che sia un mondo a parte, sperduto in mezzo al Pacifico a più di 3.500 chilometri dalla costa occidentale del Cono Sur americano. Ogni volta che gli abitanti dell’Isola di Pasqua — poco meno di seimila — provano a far sentire la loro voce, ci pensa il governo cileno a dire che no, non se ne parla nemmeno di rivedere l’organizzazione amministrativa del territorio d’oltremare sotto la giurisdizione di Santiago dal 1888 e, da quasi 50 anni, parte della lontanissima provincia di Valparaíso. È da allora, dal 1966, che i rapanui sono cittadini cileni di pieno diritto, ma non si sono mai sentiti tali fino in fondo, tanto che ad ogni occasione il sogno indipendentista riprende corpo. Ultimo motivo di frizione la consultazione indigena convocata dal Conaf, il Comitato nazionale forestale dipendente dal ministero dell’Agricoltura di Santiago, per definire il futuro della gestione del parco nazionale Rapa Nui (creato soprattutto per garantire la salvaguardia del bene più prezioso dell’isola, i 638 celebri moai, le statue monolitiche realizzate tra l’XI e il XVI secolo dalle originarie popolazioni polinesiane, che secondo la tradizione rappresenterebbero i capi tribù indigeni morti). Il risultato del voto è stato schiacciante: 86% a favore di un’amministrazione del parco condivisa tra cileni e popolazione locale. Un segnale della volontà di rompere il cordone ombelicale che lega l’Isola di Pascua a Santiago, osservano alcuni. Ma c’è chi fa notare che la percentuale è insignificante, posto che sono andati alle urne solo 333 cittadini, il 15 per cento dell’elettorato.
La disputa tra centro e periferia, ad ogni modo, si riaccende e sull’isola attendono una visita dell’ong Indian Law, specializzata nell’assistenza alle comunità indigene che, come in questo caso, aspirano alla decolonizzazione. In più, sono in corso contatti con il governo boliviano per studiare la possibilità di un ricorso alla commissione Decolonizzazione delle Nazioni Unite nella speranza di avviare presto un processo indipendentista. Una svolta alla quale, sull’isola, si oppone il sindaco di Rapa Nui, Pedro Edmunds Paoa, assicurando che «noi siamo cileni e questo è il sentimento della maggioranza degli isolani». In realtà, per quanto appartenente all’etnia locale, Paoa è un dirigente strettamente legato alla classe politica di Santiago, tanto che fu il presidente conservatore Sebastián Piñera a nominarlo, cinque anni fa, governatore di Pasqua. Un “no” fermo alle aspirazioni secessioniste arriva anche dall’intendente regionale di Valparaíso, la Regione cui appartiene amministrativamente l’isola: «Difenderemo l’integrità territoriale del Cile», ha assicurato Omar Jara, «e questo territorio si regge in base alle leggi cilene ». Non è escluso tuttavia, secondo quanto ammettono alcuni giuristi, che l’isola possa quantomeno puntare a ottenere un nuovo status, con un livello di autonomia che riconosca la sua singolarità culturale: più autogoverno, come se fosse una Regione (sganciata quindi dall’amministrazione di Valparaíso), ma senza riconoscere al momento l’indipendenza.
Un compromesso che probabilmente non soddisferà nessuno e non farà che rinviare il problema. L’esperienza sofferta in secoli di colonizzazione non è stata delle più edificanti. Il segno indelebile lasciato al loro passaggio da spagnoli, inglesi e francesi è stato la diffusione di malattie come sifilide e influenza che decimarono la popolazione, prima che arrivassero i mercanti di schiavi deportando migliaia di abitanti. E quanto al Cile, il primo presidente a mettere piede sull’isola fu Augusto Pinochet. Sicuro che non avrà lasciato un buon ricordo.