venerdì 13 novembre 2015

Repubblica 13.11.15
Dove va la barca di Matteo il “Viceré”
Renzi guida un partito bicefalo nella cui testa sinistra c’è una metamorfosi
Ma quello del partito unico è un gioco pericoloso
di Franco Cordero


SETTANTATRÉ anni fa il regime fascista celebrava l’ingresso nel ventunesimo anno, e Dio sa quanti ne accumulerebbe se Dux fosse rimasto alla finestra quel tanto che bastava a capire che Hitler e Reich millenario sarebbero finiti male: Winston Churchill lo riteneva molto adatto agl’italiani, bisognosi d’un condottiero; e rivivendo in contesti meno pericolosi, avrebbe gioco comodo, perché slogans, smorfie, pose da palcoscenico, toupet profetico, vitalismo mobile trascinano largo pubblico. Da trent’anni l’attuale è il terzo primo-attore in politica-teatro. Quanto a cinismo tattico, vale o supera Craxi e Berlusconi: se l’avversario ha punti deboli, non glieli perdona; pattina nei corridoi; pedala nell’occhio televisivo; con un boccone ha divorato il predecessore. Ricordiamo la congiuntura. L’Olonese arranca al punto infimo, dimissionario perché lo spread svuota il tesoro. Neapolitanus Rex gli presta soccorso congelando gli schieramenti parlamentari sotto un governo cosiddetto tecnico, e quando chiama gli elettori al voto, quindici mesi dopo, Berlusco redivivo, magnete della destra, sfiora l’exploit. L’avversario ex Pci era riuscito a non vincere, segno chiaro che la sinistra vecchio stile abbia poco credito. Invano il perdente arrischia tentativi senza i voti nella Camera alta. S’è dimesso dalla segreteria Pd, restando attivo. Alle primarie uno junior sbaraglia le mummie: prometteva piazza pulita; lo votano anche gl’insofferenti dell’egemonia berlusconiana (non particolarmente sofferta dalla cosiddetta sinistra interna). Il Quirinale installa un governo bifronte, presieduto dal nipote del plenipotenziario d’Arcore. L’emergente stava in agguato, pronto a cogliere ogni défaillance, donde conflitti fino all’inevitabile crisi ed è lui l’incaricato, quarantenne grimpeur (boy scout, agonista in gare televisive Mediaset, consigliere provinciale, presidente della provincia, sindaco fiorentino).
L’iter fisiologico in casi simili è lo scioglimento delle Camere: l’homo novus verosimilmente uscirebbe forte d’una maggioranza, donde politica coerente; l’offerta quindi mascherava dei veleni, precostituendo sfondi instabili e ritorno al quietismo delle «larghe intese», ma lo scalatore tira diritto. Il coup de théâtre è la seduta segreta col pirata risuscitato dalle urne funeste al Pd: «Siamo in profonda sintonia», dichiara uscendo dal Nazareno. «Trasformismo » era l’insegna d’Agostino Depretis, otto volte presidente del Consiglio, 1876-1887. Matteo Renzi, quasi omonimo del tribuno romano (1313-54), non ha imprinting ideologico (dicono poco vaghe affinità a modelli locali: La Pira o addirittura Savonarola); è pragmatico, scaltro, phraseur, gesticolatore impetuoso; comanda un’équipe obbediente; e ricorda Mussolini nella gestione del potere in figure pacifiche. Berlusco Magnus ha il doppio dei suoi anni: se l’era adocchiato come possibile Delfino; ai forzaitalioti piace, così risoluto; molti lo preferiscono al Dominus, vecchio, logoro, vulnerabile sotto vari aspetti, distratto dagli affari suoi.
L’interessato manda segnali chiari. A parte la confessione post Nazareno, sanno d’outing strategico le nomine ministeriali, dagl’Interni alla Giustizia. Sub divo Berluscone l’attuale viceguardasigilli s’era distinto come inventore dello sguaiato «legittimo impedimento»: falliti due tentativi d’allestire uno scudo immunitario, l’allora premier voleva garantirsi l’indefinito perditempo (sbagliando i calcoli: era invalido anche questo trucco); e sappiamo quale consegna adempiano i «diversamente berlusconiani» del Nuovo Centrodestra. L’elettorato in colletto bianco ha nervi sensibili: norme protettive glieli difendono impedendo i giudizi penali; 150 mila processi l’anno vanno in fumo (reato prescritto). È idea fissa ridurre i discorsi intercettabili, sicché corruttori, corrotti, scorridori della borsa, falsari in bilancio, evasori fiscali, et ceteri possano comunicare impunemente le trame de quibus. Dio sa quali espedienti criminofili incubino deleghe al governo. Ad esempio, complicare le intercettazioni trasferendo i relativi provvedimenti dal giudice singolo alle tre teste d’un collegio nella sede della Corte d’appello. L’atto ha dei presupposti: «gravi indizi» d’uno dei reati previsti dall’art. 266 c.p.p.; e che sia «assolutamente necessario» al sèguito delle indagini. Non lo era, diranno difensori sofisti: quindi vada al diavolo la prova così acquisita. Il capolavoro sta nell’ostruire la decisione sul reato. Ministro degl’Interni e viceministro della Giustizia smentivano sdegnosamente voci nel congresso dell’Anm deploranti tendenze governative lassistiche. Vengono entrambi dal berlusconismo viscerale, dove la menzogna è arte d’esercizio quotidiano.
Matteo Renzi guida un partito bicefalo, nella cui testa sinistra va compiendosi una metamorfosi: già sulla fine secolo ex comunisti lodavano l’Olonese quale rispettabile partner d’una moderna dialettica democratica; due anni fa l’allora capogruppo Pd a Montecitorio raccoglieva applausi berlusconiani proclamandosi «garantista», e che tale sarebbe stata la parola d’ordine Pd; qualcuno doveva avergli detto che il processo penale sia un ordigno in mano a dei Torquemada. Costoro giocano al partito unico, gioco pericoloso: la metà «sinistra », ammesso che il riferimento spaziale abbia senso, pesa progressivamente meno; il baricentro cade dall’altra parte, i cui poteri d’interdetto e pressione aumentano. È un’incognita lo sviluppo pentasidereo e fluttua la massa d’incerti o alieni dal voto. Rebus sic stantibus ogni prognosi sarebbe avventata. La complica l’esservi coinvolto Re Lanterna, incline ai soprassalti. Insomma, non sappiamo come navigherà il battello fiorentino, forse meno sicuro di quanto l’ottimista pensi, a meno che i conflitti sociali s’estinguano spontaneamente, piovendo oro dalle nuvole, nel qual caso Matteo Viceré vestirebbe l’aureola del taumaturgo, ma fantasie simili ricorrevano nei sermoni savonaroliani, cinquecentovent’anni fa, e li sappiamo crudelmente smentiti dai fatti.