venerdì 13 novembre 2015

Corriere 13.11.15
L’ex «porto delle nebbie» e i rischi del partito-Stato
La procura di Roma ha sostituito quella di Milano nel ruolo di guida nazionale della giustizia, evocando l’inizio di una stagione che più di venti anni fa cambiò la storia d’Italia
Ma l’assenza di furore ideologico nelle inchieste pone la classe dirigente di fronte ad una sfida ancora più insidiosa
di Francesco Verderami


Da porto delle nebbie si è trasformata in porto franco, le sue inchieste ne alimentano altre in altri uffici giudiziari del Paese: così la procura di Roma ha sostituito quella di Milano nel ruolo di procura guida nazionale che indirizza anche la lotta al terrorismo islamico e accompagna con il breviario penale la rivoluzione morale in Vaticano.
Ma sono l’operazione Mafia Capitale, l’affaire Anas con la sua «dama nera», e per ultimo il caso ereditato da Napoli in cui è coinvolto il governatore campano De Luca, a evocare nell’immaginario collettivo l’inizio di una stagione che più di venti anni fa cambiò la storia d’Italia.
Il rito romano è diverso da quello ambrosiano, perché diverso è il contesto e il profilo dei protagonisti. Il «pool» di Borrelli raggiunse picchi di notorietà tali da essere citato a memoria, quasi fosse la formazione della Nazionale. Oggi invece c’è una squadra di magistrati guidata da un anti-divo come Pignatone, che silenziosamente si sta prendendo una rivincita rispetto a quei suoi colleghi che ne avevano ostacolato la carriera definendolo un «normalizzatore».
Finito il tempo dei missionari che proclamavano di voler «rovesciare l’Italia come un calzino» e che promettevano di riconsegnare ai cittadini un Paese dalle «mani pulite», è giunto sulla scena un procuratore che invoca il sostegno della politica per non costringere la magistratura al ruolo della «supplenza» e che assicura il sistema di non avere «altri disegni» se non quello di colpire le sue «patologie».
Ma proprio l’approccio conciliante, l’assenza di furore ideologico nelle inchieste, l’abbandono del mito della lotta del bene contro il male, pongono la classe dirigente dinnanzi a una sfida ancor più insidiosa rispetto a quella del passato, perché la spogliano delle sue difese, le impediscono di usare l’alibi della giustizia politicizzata. Infatti nessuno parla di azioni a orologeria se parla della procura di Roma. Non è accaduto nemmeno due settimane fa, quando dagli uffici di piazzale Clodio — con perfetta tempistica — è filtrata la notizia che il sindaco della Capitale aveva ricevuto un avviso di garanzia per peculato, proprio mentre Marino tentava un’ultima disperata resistenza in Campidoglio.
Questo atteggiamento remissivo della politica non è solo conseguenza dalle sue debolezze, oltre che delle sue colpe, è anche il dovuto attestato di credito a un magistrato rimasto (finora) immune dal virus del soubrettismo giudiziario, che continua invece a minare la credibilità della sua categoria. Ma nonostante le differenze con il rito ambrosiano, le iniziative penali della procura di Roma cominciano a produrre effetti simili. Solo che a differenza di ventitré anni fa — quando le inchieste liquidarono le forze di governo della Prima Repubblica — nessuno stavolta può difendersi sostenendo di essere vittima di un disegno, perché formalmente non esiste più un intento persecutorio. Il potere ora è nudo davanti al suo giudice.
Peraltro, se in conseguenza del dissolvimento del quadro politico a restare in piedi è un solo partito-Stato, è inevitabile che ogni indagine sullo Stato finisca per colpire (soprattutto) quel partito. È il prezzo che paga una forza di sistema, è un problema con cui (soprattutto) il Pd deve oggi fare i conti. A lungo andare, a fronte dei casi che affiorano in giro per l’Italia, a Renzi non basterà farsi scudo solo con le autorità di controllo e vantando l’inasprimento delle norme contro i banditi della democrazia.
Serve la «rottamazione» di un modo di fare politica e di chi se ne è fatto interprete. Sono le «scelte autonome» di cui parla Pignatone, che rivolge un suggerimento e al tempo stesso una sfida al sistema al quale sostiene di interessarsi solo per colpire le sue «patologie». Resta da capire come la classe dirigente del Paese vorrà affrontare il problema per evitare che un altro ciclo si chiuda traumaticamente. E intanto si aspetta di capire fin dove si spingerà la procura di Roma, che dice di muoversi senza avere «alcun disegno».