giovedì 12 novembre 2015

Repubblica 12.11.15
Lunedì le pagelle di Bruxelles alle manovre dei 19
Ma sull’Italia il parere definitivo sarà rinviato
Voci sulla possibile bocciatura della clausola riforme
Deficit, dubbi Ue giudizio a marzo. Renzi in allarme chiama Juncker
di Alberto D’Argenio


Quando arrivano alla fortezza di Sant’Elmo i leader europei si scambiano abbracci e pacche sulle spalle. Nel luogo simbolo della vittoria dei Cavalieri di Malta sui saraceni, li attende il vertice sull’immigrazione con i partner africani. Sotto un sole ancora estivo non filtra nulla delle tensioni sotterranee che nelle ultime ore hanno segnato i rapporti tra capitali. Almeno per quanto riguarda Roma e Bruxelles. Ma non sui rifugiati, bensì sulla manovra, con la Commissione europea che si prepara a congelare fino a marzo il giudizio sulla legge di stabilità italiana. La notizia in sé non è negativa, è successo anche lo scorso anno e senza conseguenze, ma per capire il clima bisogna tornare indietro di qualche giorno. Nel fine settimana, in vista del dibattito di ieri interno alla Commissione sulle pagelle ai diciannove dell’eurozona che verranno pubblicate lunedì, al governo era arrivata notizia di un trattamento particolarmente severo per l’Italia. Non una bocciatura, ma un duro attacco alla scelta di tagliare la Tasi anziché le tasse sul lavoro, il conseguente no alla flessibilità sulle riforme chiesta da Roma (1,6 miliardi, lo 0,1% del deficit) e la volontà di rinviare a marzo la decisione sulle altre clausole invocate dal governo Renzi (0,3% sugli investimenti e 0,2% sui migranti). Con il rischio, se poi non dovessero essere riconosciute, di richiesta di una pesante manovra bis in primavera o in alternativa di una procedura d’infrazione Ue quanto mai simile al commissariamento.
Così Padoan lunedì ha incontrato a Bruxelles il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, e il vicepresidente Vladis Dombroskis. Tra maniere vellutate e toni pacati, i colloqui non sono stati risolutivi. Tanto che Renzi, sempre lunedì, ha deciso di chiamare Juncker. La telefonata, raccontano, è stata caratterizzata da accenti meno felpati di quelli usati dai ministri. Il premier però spera di avere sminato il terreno che da qui a lunedì porterà alla stesura dell’opinione Ue sulla manovra italiana. Sensazione confortata dalle indiscrezioni secondo cui ieri, prima di partire per Malta, Juncker durante la riunione con i suoi commissari avrebbe difeso la manovra italiana. Ma certezze non ce ne sono.
Il punto fermo è il congelamento del giudizio fino a marzo. Nel nome della flessibilità il governo nel 2016 porterà il deficit nominale al 2,2% (contro l’1,8 concordato) chiedendo oltretutto di salire al 2,4% per tagliare l’Ires grazie alla flessibilità per l’emergenza rifugiati. Bruxelles però non dà garanzie, e anche se non dovesse, come sembra dopo l’intervento di Renzi, dire subito di no a parte della flessibilità, lunedì non si sbilancerà sulla possibilità di concederla in primavera (riforme, investimenti e migranti). Oltretutto inserirà, come lo scorso anno, l’Italia nel gruppo di paesi a “rischio” di sforamento degli obiettivi di bilancio (in effetti lo saranno se l’Europa non concederà la flessibilità), criticherà la Tasi e si riserverà di decidere su tutto tra marzo e aprile quando avrà verificato l’effettiva esistenza degli investimenti, delle riforme e avrà stabilito quali spese per i migranti scontare al deficit. Oltretutto con un debito al 132,2% l’Italia andrà incontro alla stesura di un rapporto europeo secondo l’articolo 126.3 del Trattato. Un early warning sui conti. Se lo scorso anno è stato subito chiuso, senza sfociare in procedura, quest’anno Roma non ha garanzie di passarla liscia soprattutto se Bruxelles non le riconoscerà tutte le clausole o non considererà le riforme una buona ragione per il ritardo nel risanamento. Con il rischio per Palazzo Chigi di dover scegliere tra una dolorosa manovra aggiuntiva o una pericolosa procedura su debito e deficit. La speranza è che si tratti solo di pressione per evitare deragliamenti sui conti in corso d’opera e che regga lo schema secondo cui a marzo Bruxelles darà il via libera a portare il deficit almeno al 2,2%. Una flessibilità da 13 miliardi che non arriverà ai 16 ipotizzati da Renzi per abbassare subito l’Ires, ma che concederebbe all’Italia una politica espansiva per rilanciare la crescita restando al riparo da spiacevoli sorprese.