Repubblica 11.11.15
Glucksmann l’indignazione al potere
È morto a Parigi l’intellettuale che fondò con Bernard-Henri Lévy la corrente post-marxista dei “nouveaux philosophes”
di Anais Ginori
PARIGI Aveva imparato dalla madre, scampata dai campi di concentramento, a lanciarsi in battaglie che sembravano impossibili, a non abbandonare mai la speranza di cambiare il mondo. Dove c’era una mobilitazione in favore dei diritti umani, contro le dittature, c’era lui, aria dolce e sguardo tenace, appassionato, lo stesso con cui aveva conquistato i riflettori alla fine degli anni Settanta denunciando soprusi e ingiustizie. André Glucksmann, 78 anni, morto
nella notte tra lunedì e martedì, circondato dalla moglie, dal figlio e da qualche amico, dopo una lunga malattia, ha animato la vita culturale e intellettuale con quel misto di impegno civile e politico che rende così unica la Francia.
«Portava in sé tutti i drammi del ventesimo secolo », ha detto il presidente François Hollande ricordando così il “nouveau philosophe”, l’esponente della corrente di pensiero fondata insieme a Bernard-Henri Lévy, rompendo con il marxismo ma superando anche le divisioni schematiche tra Jean-Paul Sartre e Raymond Aron. Il battesimo fu l’accoglienza dei “boat-people” vietnamiti: una foto ritrae i giovani Glucksmann e Lévy, insieme a Sartre e Aron, ricevuti nel 1977 dall’allora presidente Valéry Giscard d’Estaing. Riuscirono a convincere il governo a dare rifugio a migliaia di profughi, un precedente che oggi assume un altro sapore vedendo l’indifferenza più o meno velata con cui gli intellettuali si sono mobilitati per i profughi che arrivano da Siria, Iraq e dal Maghreb.
I tempi sono cambiati, manca forse il coraggio di prendere posizioni impopolari, ed è rimasta solo la voglia di fare audience in un talk-show. L’intellettuale Glucksmann era molto presente sui media. Ed era questo uno dei rimproveri più diffusi contro i “nouveaux philosophes”. Ma lui non discettava senza sapere, partiva anche sul campo, in prima linea su tanti fronti, soprattutto quello contro il nuovo imperialismo russo. Non perdeva occasione per denunciare le nefandezze di Vladimir Putin, è stato tra i più forti accusatori degli abusi di Mosca nel conflitto in Cecenia. Il filosofo aveva anche viaggiato in quel paese, in clandestinità, per vedere, capire, raccontare, sempre sostenuto dall’inseparabile moglie Fanfan.
Una passione civile che ha tramandato al figlio regista Raphaël, anche lui impegnato a denunciare le trame nascoste del conflitto in Georgia e poi in Ucraina. «Ho perso il mio primo e miglior amico. Che fortuna aver discusso e scherzato, riso e combattuto con un uomo così generoso », ha scritto Raphaël.
Glucksmann veniva da una famiglia ebraica dell’Europa centro-orientale, il padre era morto all’inizio della guerra, la madre entrò nella Resistenza e venne fermata e arrestata in un rastrellamento. Il piccolo André ha vissuto a Parigi come un bambino nascosto ed è poi cresciuto in un ambiente intellettuale ricco, incrociando da studente la strada dell’intellettuale liberal dell’epoca, Aron, di cui è diventato assistente alla Sorbona.
È da questo pulpito che vive il Sessantotto. «Ci siamo incontrati allora e non ci siamo più lasciati », ricorda Daniel Cohn-Bendit. Glucksmann si immerge nello studio dei problemi geopolitici, dell’incognita nucleare, della filosofia della dissuasione. Il suo primo libro, nel 1967, s’intitola Il discorso della guerra. Si schiera con la rivoluzione maoista in Cina ma dopo qualche anno, nel 1975, opera la più spettacolare delle rotture con il marxismo militante pubblicando La cuoca e il mangia- uomini: sui rapporti tra Stato, marxismo e campi di concentramento, nel quale osserva: «Il marxismo non produce solo dei paradossi scientifici, ma anche dei campi di concentramento ». Il pamphlet ebbe l’effetto di una bomba nell’intelligentsia dell’epoca, piuttosto a sinistra, e fu venduto in decine di migliaia di copie.
«Ha dato un colpo definitivo all’ideologia co- munista in Francia», spiega il filosofo Pascal Bruckner, anche lui nel movimento dei “nouveaux philosophes”. La rottura con un certo conformismo dell’epoca ha procurato a Glucksmann molti nemici ma anche una nuova notorietà che lui ha saputo sfruttare per le sue tante cause e con azioni spettacolari come alcune famose “evasioni” da studi televisivi dove c’erano trasmissioni in diretta. Tutto serviva a diffondere il pensiero della sua corrente di pensiero in rottura con quella del comunismo reale.
Dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Urss, “Glucks” è passato all’antitotalitarismo e alla strenua difesa dei diritti umani. Negli anni Novanta, con la dissoluzione della Jugoslavia, si è schierato al fianco dell’intervento contro la Serbia e poi di quello americano in Iraq nel 2003, a cui la Francia invece non ha partecipato. Le posizioni sempre più filo-atlantiche lo hanno fatto entrare in conflitto con la gauche ufficiale, avvicinandolo a Nicolas Sarkozy, in particolare sulla guerra dichiarata al leader libico Gheddafi. Una relazione che non tutti i suoi vecchi compagni di strada approvavano e che si è infranta rapidamente sulla realpolitik con Mosca dell’allora inquilino dell’Eliseo.
Già malato, aveva firmato una petizione contro le discriminazioni dei rom e la mancanza di integrazione. Non si tirava mai indietro, nel suo ultimo libro Une rage d’enfant spiegava che era mosso dalla miseria e dall’ingiustizia, e dunque non si sarebbe mai fermato. Quando c’era un appello o una mobilitazione era sempre sollecitato e rispondeva volentieri. Negli ultimi tempi, anche se molto provato dalla sua malattia nel suo appartamento del nord di Parigi, con un grande salone in cui negli anni Settanta accoglieva rifugiati e oppositori politici, incitava gli altri a denunciare, scrivere, manifestare, perché le uniche cause perse sono quelle di chi non combatte.